Un pezzo del Golfo dei Poeti finisce a Shanghai. La poesia "Untitled - Bangkok" dell'autore 34enne spezzino Filippo Lubrano, membro del collettivo dei Mitilanti, è stata infatti scelta dalla "Shanghai Poetryzine" della megalopoli cinese per una pubblicazione nella sua ultima edizione estiva.
Il pezzo, steso direttamente in inglese, è stato scritto nel 2015, durante il periodo in cui Lubrano viveva proprio nella capitale thailandese.
"È un pezzo a cui sono particolarmente legato. In qualche modo, chiude un cerchio di un periodo fondamentale della mia vita e della mia formazione. Per me, tra i Naga e i Garuda, le creature mitologiche che ornano i palazzi reali del golfo del Siam, si cela il senso di quel Paese straordinario", racconta l'autore spezzino, che a Bangkok ha inoltre steso il suo "Radici Aeree", l'ultimo suo romanzo scritto interamente in cabine di aerei.
"Senza Titolo", nella sua versione italiana, sta inoltre per diventare un pezzo musicale, grazie alla collaborazione di lungo corso che Lubrano ha con Manuel Picciolo, in arte Mappo. "È un componimento che mi parla molto, anche per la mia spiritualità. Non a caso, è stato il pezzo che ho voluto che Filippo leggesse mentre lo accompagnavo musicalmente la sera prima del mio matrimonio".
Questo il testo integrale, in italiano:
Senza Titolo (Bangkok, 2015)
Mi spiegasti che gli spiriti non muovono
che in orizzontale, che per essere al sicuro, per essere
salvi sarà sufficiente frapporre un ostacolo banale tra il salotto
e la camera del riposo, orientata secondo
i precetti del feng shui. Basterà la teiera
di Benjarong di tua madre, un portale di tek con gli intarsi
complessi delle mutevoli forme del Naga. Andammo
insieme al tempio degli stupa di gesso
gli stupa immobili, che non concedono incavi abitabili sopra
alla reliquia del Buddha - un capello, l’unghia estrema.
Ci guardavamo come se le carpe del lago
Dovessero inghiottirci, fare a brandelli le nostre carni
terrene, per reincarnarci in un cerchio inferiore
ratto, libellula, drago di Komodo.
I profili lignei dei Garuda erano grucce per l’ossigeno
del mondo, ci avrei poggiato la tua giacca di seta
per invertirne il processo produttivo, spiegare al baco
l’urgenza di tornare verme, che rinunciare alla vita
non valeva la pena, che non esiste ricamo di pashmina
che meriti l’atto estremo, di cui nessuno
racconterà – l’ennesimo miracolo ignorato.
L’immagine del tuo collo si è sovrapposta a tutto
questo, l’incavo tra la scapola e l’epistrofeo
dove la tua pelle ruota, incespica, muta
Colore, dove spalmerei copioso il balsamo
della tigre, il fuoco del balsamo di tigre
rosso divamperebbe per tornire
i tuoi contorni, per lenire i domestici affanni
con un incendio maggiore.
Pensare di dare la vita, per essere un filo che
benefici del tuo calore umano.
La poesia, insieme a svariati altri scritti dell'autore spezzino, è disponibile sul suo blog.