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25 novembre, numeri e promesse vuote in una società che non cambia In evidenza

di Marina Lombardi – Violenza sulle donne non è solo stupro o femminicidio. Un approfondimento per interrogare sé stessi sul ruolo che possiamo avere.   

Se il 25 novembre serve a sottolineare la situazione di estrema crisi che stiamo vivendo allora è bene farlo con le giuste accortezze. Lo diciamo da anni che le giornate commemorative non possono essere una tantum ma una forma di educazione presente tutti i giorni, eppure, ogni anno, ad ogni ricorrenza, ci troviamo a contare quante donne sono state uccise. Ogni anno, ci troviamo a dover spiegare perché il nome femminicidio non è lo stesso di omicidio. Perché no, non si tratta dell’omicidio di una donna declinato al femminile. Si tratta dell’omicidio di una donna, che viene uccisa in quanto donna. Una frase che ogni volta necessita di una spiegazione approfondita perché il concetto alla sua base non è ancora entrato nel linguaggio comune. La frase uccidere una donna in quanto donna racchiude dentro di sé una serie di connotazione sociali e culturali da cui non è possibile prescindere nel descrivere la violenza di genere.

Quindi, fino ad ora, ogni anno, è necessario tornare alle basi, per spiegare perché questa frase resta una delle più sottovalutate. Il femminicidio è una forma estrema di violenza esercitata sulle donne, radicata in un sistema ideologico di matrice patriarcale. Il suo obiettivo è mantenere la subordinazione femminile, annientando l’identità della vittima attraverso forme di assoggettamento fisico o psicologico, che possono sfociare nella schiavitù o nella morte. Con parole più semplici, si tratta di una violenza insita nell’agire dell’uomo, che in ogni momento può prendersi la libertà di dire o fare ciò che vuole, fino ad arrivare ad uccidere la donna. È una forma di possesso, “tu sei mia e di nessun altro” che nella violenza di genere esplicita la sua essenza alla massima potenza.

Ogni uomo ne prende le distanze dopo ogni notizia di femminicidio, ogni donna si sente ancora più in pericolo, ogni istituzione pronuncia frasi di circostanza. Anche questo novembre ci si ritrova a tirare le somme dell’anno, somme che risultano sempre più drammatiche. Lo abbiamo visto e sentito più e più volte eppure, ad ogni 25 novembre trascriviamo i dati Istat per contare quante donne sono state uccise. Dati che è sempre bene ricordare, ma che necessitato di essere contestualizzati culturalmente e socialmente. Dal primo gennaio 2024 ad oggi, secondo le stime ISTAT, 98 donne sono state uccise, almeno 84, in ambito familiare o affettivo. 51 sono morte per mano del partner o dell'ex partner.

La violenza sulle donne e la violenza di genere, sono strettamente collegate alla struttura sociale in cui viviamo, è ben precisa e definita come una società patriarcale. Un termine che negli ultimi anni ha spaventato, diviso, fatto discutere, fatto prendere le distanze da tantissimi uomini e anche molte donne. Tra chi non vuole sentirselo dire e chi non crede che esista ci sono moltissime considerazioni che restano troppo spesso ai margini del discorso pubblico. Certo è, che la distanza tra uomini e donne aumenta, così come aumenta tra i partiti politici, tra chi prende una posizione piuttosto che l’altra. Ma aumenta soprattutto la politicizzazione del tema. Viviamo un’attualità fatta di discorsi politici e nient’altro, che nei giorni delle commemorazioni si fanno sempre più forti. Mentre il compito di pensare alle donne resta sempre ai margini della politica. Resta nelle mani, di associazioni, comitati, organizzazioni indipendenti, attiviste e attivisti e qualche sporadico giornalista ai piani alti delle emittenti televisive.

La normalizzazione della violenza di genere

Parlare di violenza di genere è oggi qualcosa che va oltre la mera divulgazione e le statistiche. È imprescindibile saper leggere i contesti culturali e sociali e soprattutto saperli narrare. La violenza di genere non è solo stupro o femminicidio, quello è solo il grado più alto della piramide.

Molte delle dinamiche che stanno alla base della violenza di genere sono profondamente normalizzate nella nostra società. Abbiamo normalizzato una cultura dello stupro ma non se ne parla abbastanza, forse, perché non è così semplice parlarne e richiede impegno e studio. Certo è che il ruolo dei media è sempre stato e continuerà ad essere fondamentale, così tanto da determinare frasi come “guarda come era vestita, ovvio che poi succede” ad esempio specificando nei titoli l’abbigliamento della vittima.

Dobbiamo superare anche frasi come “gli uomini sono fatti così” che rappresentano un costrutto sociale che entra sempre di più nelle nostre menti. È un principio educativo, non la natura di uomo, è necessario che si inizi ad educare in questo senso. Altrimenti si incorre nel rischio di generare una mentalità diffusa che giustifica o minimizza comportamenti inaccettabili. Nessuno nasce molestatore, ma tutti cresciamo in una società che perpetua queste disuguaglianze.

La violenza è fisica, la molestia è verbale.

Il catcalling è un esempio di molestia comune: il 79% delle donne ha subito molestie in strada prima dei 17 anni. Non più tardi di stamattina passando per Piazza Europa un paio di uomini hanno fischiato alla ragazzina che passava di fronte a loro dall’altra parte della strada. Questi episodi portano le donne a modificare il loro comportamento, ad esempio evitando certi abiti o percorsi.

Lo stalking: in Italia, ci sono state 12.491 vittime di stalking, donne che hanno avuto il coraggio di denunciare, ma quante altre restano in silenzio? Parliamo poi di condivisione non consensuale di materiale intimo, che negli ultimi anni è stato un argomento da prima pagina. La diffusione non consensuale di contenuti privati, spesso attraverso gruppi social, è una forma di abuso che colpisce gravemente la dignità e la sicurezza delle vittime.

Parliamo quindi di scelte negate o condizionate, faccio così altrimenti può succedere che .. 

Mai pensato all’indipendenza economica di una donna? Se parliamo di parità salariale non basta liquidare il tema ad un “oggi le donne hanno pari diritti e possono fare quello che vogliono”, come fosse una concessione immeritata. La dipendenza economica è un altro aspetto che perpetua la sottomissione, rendendo più difficile per le donne sfuggire a situazioni di abuso o controllo. Da qui, il ruolo fondamentale della classe politica, che dovrebbe investire e attuare provvedimenti mirati per sostenere davvero le donne in difficoltà. Infine, è bene ricordare che l'unica cosa fondamentale in tutto ciò, è interrogare sé stessi sul proprio ruolo all'interno della società, e non sentirsi accusati. 

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