Il 28 febbraio 1920 – cento anni fa – moriva alla Spezia, a soli dieci anni, Enrico Mela, fratello minore di Itala Mela. Il doloroso episodio, come ricordano tutte le sue biografie, ebbe conseguenze profonde nella vita della futura beata, che non aveva ancora sedici anni e che al fratellino più piccolo era molto legata. Portò infatti ad una crisi di fede e ad un allontanamento radicale dalla pratica religiosa, superato poi soltanto dopo alcuni anni a Genova.
La morte di Enrico – riporta Dora Lucciardi nel suo libro – avvenne a seguito di “tubercolosi intestinale”. Appare abbastanza chiaro che la malattia fu conseguenza nefasta dell’epidemia di “influenza spagnola”, la quale, diffusasi in Italia nell’autunno 1918, pressoché in concomitanza con la fine della prima guerra mondiale, proseguì, con ritmi alterni e per così dire con alti bassi, sino appunto ai primi mesi del 1920. Le condizioni alimentari spesso precarie, anche a seguito dei razionamenti imposti dalla guerra, provocavano spesso complicazioni in organismi già debilitati, specie in quelli dei bambini e dei ragazzi in tenera età. In molti cimiteri italiani, anche della provincia spezzina, si vedono ancora oggi le aree definite “cimiteri dei bambini”, allestite anche prima della “spagnola”, ma molto utilizzate proprio in quel periodo.
Nel mondo, l’”influenza spagnola”, diffusasi a livello pandemico, provocò la morte in due anni tra i cinquanta e i cento milioni di persone. I giornali di Spezia di quei mesi riportano non solo gli elenchi delle persone morte – indicando spesso il numero elevato dei bambini sotto i sei anni – ma anche indicazioni e disposizioni delle autorità, soprattutto di carattere igienico, almeno in parte simili a quelle cui ci siamo abituati in questi giorni. Il settimanale cattolico spezzino “Il popolo”, ad esempio, nel numero del 19 ottobre 1918 riporta una lettera circolare di monsignor Giovanni Carli, vescovo di Luni–Sarzana e di Brugnato, nella quale i parroci vengono invitati non solo a misure specifiche di prudenza igienica ma anche a far opera di esortazione al riguardo verso i fedeli e le loro famiglie, in tempi nei quali non c’erano né radio né televisione né internet. E non a caso, visto che, purtroppo, sempre “Il popolo”, il 16 novembre 1918, riportava la triste notizia di ben cinque parroci deceduti in diocesi, a seguito dell’epidemia, aggiungendo a loro il nome di suor Maria Gabriella, delle suore Gianelline, che aveva contratto il virus curando i malati all’ospedale civile. Tutto questo spiega perché, anche in questo periodo, molti fedeli si rivolgano, come ad altri santi, anche alla beata Itala Mela per l’impetrazione di grazie specifiche.
Testo di Egidio Banti