“Non possiamo concepire il Mediterraneo come un fossato a protezione della fortezza Europa. L’Italia alza la voce in Europa, ma lo fa sulla pelle di migliaia di persone, minacciando di impedire l’approdo ai porti italiani alle navi che non battono bandiera italiana, puntando chiaramente il dito contro quelle impegnate nelle operazioni di salvataggio. Quelli delle Ong sono vascelli di solidarietà, senza se e senza ma. Allontanarli dalle coste libiche, ostacolare in tutti i modi i loro interventi, non può che portare ad appesantire il già tragico bilancio dell’ecatombe nel Mediterraneo: 2100 i morti dall’inizio del 2017”. Così Giorgio Pagano, nel corso della presentazione del suo libro “Sao Tomé e Principe - Diario do centro do mundo” a Viareggio, ha commentato le più recenti prese di posizione del Governo italiano in materia di migrazioni.
“Non si può scaricare il problema sull’altro lato del Mediterraneo -ha continuato- perché il governo libico non è neppure in grado di controllare la capitale e detiene i migranti in condizioni disumane.”
Finanziare e addestrare i guardiacoste libici -come hanno segnalato negli ultimi giorni sia l’Onu che Human Right Watch e Amnesty International, oltre alle Ong che si occupano dei salvataggi in mare- è una decisione sbagliata perché -ha spiegato Pagano- la Guardia costiera libica “è rinomata per i metodi violenti con cui tratta i migranti e anche per le collusioni con i contrabbandieri di esseri umani”.
Ciò che serve, ha sostenuto il presidente delle associazioni Mediterraneo e Funzionari senza Frontiere, è una “operazione umanitaria multinazionale sotto il controllo dell’Italia”, una sorta di missione Mare Nostrum allargata e finanziata direttamente dalla Commissione europea. E poi occorre, ha aggiunto, “la riforma della legislazione europea, a partire dalla sospensione del regolamento di Dublino che obbliga i migranti a fermarsi nello stato di primo approdo, Italia, Spagna e Grecia: ma questo il ministro Minniti non lo chiede”.
Pagano ha così concluso: “Aiutiamoli a casa loro è un’esortazione ragionevole: ma la cooperazione con i Paesi africani deve basarsi su partnership fondate sulla parità e la reciprocità, deve smetterla di depredare le risorse africane e non deve trasformarsi in aiuti ai regimi perché rinchiudano in campi di concentramento chi è costretto a fuggire dalle guerre, dalla fame e dai cambiamenti climatici”.