Il libro “Tra utopia e realismo. Appunti sul Sessantotto” ha suscitato partecipazione e una vivace discussione anche in piazza Brin, al centro di via Corridoni.
Giorgio Pagano, curatore del libro, e Amilcare Mario Grassi “Celè”, protagonista del Sessantotto spezzino, hanno dialogato tra loro e con alcuni tra i partecipanti all’incontro. Per Grassi ci furono “tanti Sessantotto”: “il mio – ha detto – fu all’insegna della lotta al classismo e alle ingiustizie sociali, per altri fu innanzitutto un’esperienza antiautoritaria, poi le due spinte si fusero”. Pagano ha convenuto, e ha identificato nel libro dei ragazzi della scuola di Barbiana e di don Milani “Lettera a una professoressa” il testo chiave del Sessantotto, non a caso il più letto: “perché univa antiautoritarismo e lotta alla scuola e alla società di classe, in modo molto coinvolgente, senza schemi dottrinari ma con un linguaggio originale che muoveva dalla concretezza della dimensione personale”.
Sul tema della sconfitta del Sessantotto, Grassi ha sostenuto: “Il movimento nacque contro la tradizione, poi recuperò la tradizione e le sue vecchie idee ma lo fece nel modo sbagliato, dottrinario e conformista”. Anche per Pagano si può parlare di “una miscela di elementi vecchi e nuovi”: “l’incontro del movimento studentesco e intellettuale con il movimento operaio era necessario, ma alla fine prevalse un po’ in tutti il punto di vista di classe, operaistico, senza la capacità di integrarlo con la spinta dei giovani per la democratizzazione della scuola e per una riforma morale della società. Operai e studenti uniti nella lotta rimase solo uno slogan”.
Dopo la discussione, che ha avuto accenti diversi – sulle responsabilità del PCI e dei gruppi della sinistra extraparlamentare –, Pagano ha concluso: “Il distacco tra partiti e società cominciò già negli anni Sessanta: il sistema politico formatosi nell’immediato dopoguerra si separava sempre più dalle inquietudini sociali. La grande politicizzazione dei primi anni Settanta, seguita al Sessantotto, durò ben poco, anche se ottenne risultati straordinari, come lo Statuto dei lavoratori o il divorzio. La sconfitta sia del PCI che della ‘nuova sinistra’ alla fine del decennio aggravò enormemente il distacco, che non troverà più soluzione”.
Oggi, hanno convenuto un po’ tutti, resta un’eredità del ‘Sessantotto degli inizi’ che ci parla ancora e ci aiuta a sperare nel futuro: unire questione sociale e ricerca di un nuovo senso della vita, suscitare partecipazione, battersi per un cambiamento non solo politico ma anche personale, culturale e sociale, e per il pacifismo contro la minaccia dell’autodistruzione nucleare. Mettendo al centro anche la difesa della natura, tema allora assai poco presente. A coloro che, intervenendo, hanno detto di non avere più speranza, Pagano ha risposto: “Il sogno di una migliore società oggi appare difficile, ma non può esaurirsi. Nella copertina del libro c’è una foto dello studente italo-americano Mario Savio, che in un discorso a Berkeley poi diventato famoso disse: ‘La storia non finita’. Il timore c’era anche allora, ma poi la storia ricominciò”.