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di Francesca Dallatana - Onestà operaia. Human solidarity.

Un marocchino con stile britannico, cittadino italiano.
Europa, sul finire di un inquieto 2024. Significativa anticipazione del futuro. L’Europa sarà la terra di confuse culture sui confini delle loro identità di provenienza.
Voce cordiale ma bassa. Passi misurati, discreto di modi. Sorride con gli occhi, velati dalle lenti degli occhiali. E’ minuto, essenziale nei movimenti. Non molla la presa dello sguardo, non spegne il sorriso.
Abderrahim El Fadli, lavoratore con cittadinanza italiana, marocchino di origine e proveniente da Casablanca ma dallo stile britannico, lavora alla Sma Serbatoi dal 2000, all’inizio della missione nello stabilimento di San Prospero, oggi a San Secondo. Ma questo è il capitolo attuale della sua storia di lavoratore migrante.
Vive in Italia dal 1994. Viene da Casablanca dove ha frequentato la scuola primaria e aveva già conosciuto il mondo del lavoro.

“Nel 1994 avevo diciannove anni. In Marocco avevo lavorato come molte persone della mia età e avevo fatto diversi lavori: il falegname, il saldatore, il metalmeccanico. Ho lavorato per periodi brevi. Anche nel settore tessile: facevo le maglie di lana. In Italia viveva mio zio. Lavorava a Parma da Carbognani. Nei primi anni di permanenza in Italia ho fatto quello che ho potuto, ma ho lavorato. Sono venuto in Italia per questo motivo.” Sorride e interrompe il lento flusso di parole e di pensieri.
Trenta anni a ritroso, 1994: un’altra storia. “La città di allora era molto diversa rispetto ad oggi. Alla domenica era tutto chiuso. Se non facevi la spesa al sabato, alla domenica morivi di fame.”

E c’erano molte persone immigrate? Quale è il ricordo di Aberrahim El Fadli? “ Erano pochi gli immigrati, allora. Quando volevo parlare con qualcuno del mio Paese di origine, per chiacchierare nella mia lingua, dovevo fare chilometri per andare a trovarli.”
“Mi sono impegnato per il lavoro. Ho fatto anche il vu cumprà”, la narrazione si interrompe. E l’intervistato osserva con attenzione l’interlocutore quasi a verificare la reazione. “Te la ricordi la Coop, quella di via Gramsci? Quella all’incrocio, alla fine di via Gramsci. Oggi c’è Poltrone e Sofà.”
Che cosa succedeva alla Coop di via Gramsci? “Andavo davanti alla Coop di via Gramsci a vendere. Vendevo biancheria intima e fazzoletti di carta. Davanti alla Coop di via Gramsci ho trovato uno dei lavori che ho fatto a Parma, qui in Italia. Anche se non è stato il primo.”

Gattatico-Casablanca e ritorno
Quali sono stati i primi lavori, la prima fabbrica? “A Gattatico, nel reggiano, nel 1996. Ho lavorato in una fabbrica che produceva plastica. E’ stato il mio primo lavoro. C’era molta polvere, troppa polvere. Allora ho cercato un altro posto. Ho cominciato a lavorare per una cooperativa che aveva la sede in via Palermo.”
Come è avvenuto il contatto con la cooperativa? “Un amico marocchino mi ha suggerito di andare alla cooperativa. Erano passati solo pochi anni dal 1994, ma il flusso dei migranti era già aumentato. La cooperativa mi ha proposto un lavoro da Rinaldi, sempre a Gattatico, una fabbrica metalmeccanica. Facevamo le poltrone per i barbieri e per i dentisti. Non è facile costruire la sedia di un barbiere. Io scaricavo il ferro, lo tagliavo e lo piegavo. Poi mi occupavo della saldatura e della molatura. Non saldavo sempre. Avevo colleghi saldatori e colleghi montatori. I montatori lavoravano al piano superiore. Le sedie erano di ferro verniciato. La saldatura, all’epoca, era a filo. Credo che adesso i materiali siano cambiati, di conseguenza anche la saldatura.. Sono stato in questa fabbrica per otto mesi.”
Dopo la cooperativa, un periodo di disoccupazione. E il lavoratore ritorna dalla famiglia a Casablanca. Rientra a Parma, dopo la visita al Paese di origine.
“Al ritorno in Italia da Casablanca ho cominciato un lavoro diverso, come panettiere, da Giacomazzi”. Il racconto prende fiato di nuovo dopo che il ricordo si è fermato alla parentesi marocchina.

Metalmeccanica e panetteria.
La metalmeccanica, poi una panetteria. Due settori completamente diversi. Giacomazzi assume Abderrahim El Fadli, un lavoratore proveniente dal settore metalmeccanico. Il lavoro del panettiere è completamente diverso rispetto al precedente.
L’intervistato non si scompone e rilancia: “Ho imparato un nuovo lavoro. Non sapevo fare il panettiere prima del lavoro da Giacomazzi. Non lo avevo mai fatto. “
Il lavoro si impara. Ma la selezione per un lavoro non la si supera facilmente, se si arriva da un settore completamente diverso. “Il titolare di Giacomazzi mi conosceva. Mi aveva incontrato davanti alla Coop di via Gramsci, quando facevo il venditore, il vu cumprà. Ci eravamo conosciuti così, davanti alla Coop. Una persona che conosce e parla con un’altra persona. Per questo motivo mi ha fa proposto di lavorare nel loro panificio.”
Ritmi e modalità di lavoro molto diversi rispetto alla metalmeccanica. “Il lavoro del panettiere è un lavoro duro”, sottolinea.
Silenzio e pensiero. Ci tiene a dire di nuovo: “E’ un lavoro davvero molto duro.”
Ricomincia partendo da se stesso, dal profilo del lavoratore migrante proveniente dal Marocco. Datato 1998. “Avevo fatto altre domande di lavoro. Anche al Conad. Ma il mio italiano era debole. E’ per questo motivo che ho deciso di fare un corso di lingua italiana al FormaFuturo. Per migliorare la conoscenza della lingua.”

La panetteria ha rappresentato un intermezzo biennale: 1998-2000.
“Lavoravo di notte. Facevo gli impasti. In panetteria una squadra fa gli impasti e una squadra inforna. Poi ci sono tutte le operazioni di preparazione dei prodotti per la vendita. All’epoca il turno di lavoro era a ciclo continuo. Molte ore di lavoro e notturne. Lavorare sempre di notte cambia la visione delle cose.” Ma il rapporto molto positivo con colleghi e titolari lo trattiene.
“Ho invitato nel mio Paese il mio collega, con il quale sono amico ancora adesso, e il titolare della panetteria Giacomazzi. Mi hanno raggiunto in Marocco. Sono venuti con un viaggio organizzato. Sono andati a Marrakech mentre io mi trovato a Casablanca. Sono andato da loro. Mi faceva piacere averli ospiti nel mio Paese d’origine. Abbiamo fatto un lungo giro fino a Rabat. Da Marrakech a Rabat. Poi, verso sera siamo andati a Casablanca a casa mia. Abbiamo mangiato insieme e siamo stati in compagnia. E li ho riaccompagnati a Marrakech. In un giorno abbiamo percorso circa milletrecento chilometri.” E’ il duemila. Nello stesso anno Abderrahim El Fadli termina il lavoro presso Giacomazzi. Rassegna le dimissioni.
Perché finisce il lavoro? “Perché era duro.”

Metalmeccanica di ritorno.
“Allora ho cercato un altro lavoro. Me ne sono andato, mi sono dimesso. Il titolare era dispiaciuto, ma io ero molto stanco.”
Nel 2000 le prime Agenzie per il Lavoro iniziano la loro attività. Fra le pioniere, Adecco. Alla quale il candidato Abderrahim El Fadli invia il suo curriculum vitae. La sua storia di lavoro riporta la panetteria come ultima esperienza. “Ma io avevo lavorato anche da Rinaldi. Avevo costruito le sedie per i barbieri e per i dentisti. I selezionatori di Adecco hanno considerato positivamente questa esperienza e hanno proposto la mia candidatura alla Sma Serbatoi. Ho cominciato con un contratto di una settimana. Per un mese, il mio contratto è stato prorogato di settimana in settimana. Poi per periodi più lunghi. Fino all’assunzione da parte dell’azienda con un contratto della durata di un anno.”
Sma Serbatoi è una grande azienda alle porte di Parma, sul confine con il reggiano con un secondo stabilimento a San Secondo parmense. Decine e decine di lavoratori di diversa provenienza territoriale. Nel duemila il fenomeno della mobilità territoriale era molto più evidente rispetto al ventennio precedente. Da dove venivano i colleghi di lavoro della Sma Serbatoi? “Da tutto il mondo: Senegal, Tunisia, Moldavia, Romania, altri Paesi dell’est Europa.”
Come sono stati i rapporti di lavoro con i colleghi provenienti dagli altri Paesi?
“Io mi sono sempre trovato bene. Io lavoro; tu lavori. Noi siamo colleghi. Se io lavoro e tu lavori, noi siamo amici. Funziona così. All’inizio il lavoro era duro. Anzi, non era facile. Perché avevo appena cominciato. Arrivavo da un altro settore. Non conoscevo le persone. Non conoscevo i ritmi di lavoro. Quando ti inserisci in un gruppo di lavoro devi cercare la sintonia. E’ importante trovare il giusto ritmo di lavoro. Per essere nel gruppo, per non mettere in difficoltà i colleghi. Il lavoro funziona se il gruppo lavora insieme in modo coordinato.”
L’intervistato alza il tono della voce. E ripercorre le scene di lavoro, che vive ogni giorno. Da ventiquattro anni a questa parte. “A noi lavoratori affidano commesse di lavoro. Io sono al reparto delle staffe, il supporto dei serbatoi. Capita di lavorare in coppia con colleghi. Se io aiuto te per terminare il lavoro e tu smetti di lavorare, affidando a me tutto il carico di lavoro, questo non va bene. E’ capitato. Succederà ancora. Si verifica con i lavori pesanti oppure quando abbiamo esigenza di finire la produzione entro un tempo definito e velocemente. La solidarietà fra operai è molto importante. E’ centrale per il lavoro. Per gli operai. Ma anche per l’azienda.
Chi sono quelli che non aiutano?
“Chi non è interessato al lavoro. Qualcuno ha un contratto breve. Qualcuno ha un contratto lungo. Non c’è una regola fissa per definire queste persone.”

Dal 2000 ad oggi le provenienze territoriali dei lavoratori sono cambiate? “Da dodici anni lavoro nello stabilimento di San Secondo. Con me adesso lavorano persone che arrivano dall’India, dal Ghana, dalla Tunisia, dalla Colombia. Io sono cittadino italiano ma sono sempre marocchino di origine. Il resto dei colleghi è italiano. Lavoro con un collega italiano adesso. Si chiama Francesco La Rocca. Con lui si è instaurato un rapporto di grande collaborazione. Lui è un lavoratore molto serio. E’ una persona disponibile alla collaborazione. Ci aiutiamo anche per cose diverse rispetto al lavoro. Quando non capisco perfettamente le cose in italiano, gli chiedo spiegazioni e mi faccio aiutare.”
Nel corso dell’esperienza di lavoro, in Italia dal 1994 ad oggi, i rapporti di lavoro sono stati più facili con gli italiani oppure con altri lavoratori migranti? “Dipende dalle persone. Non c’è una regola.”

Un suggerimento per i lettori che vogliano conoscere il Marocco? “Visitare le città. Casablanca è una città bellissima. Casablanca e Tangeri rappresentano la modernità del Paese. Fez e Marrakech sono città storiche. Non dobbiamo dimenticare da dove veniamo.”

 

 

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