I due volumi del libro di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” sono stati presentati a Sarzana su iniziativa del Circolo Culturale Alessandro Pertini e dall’Associazione Culturale Mediterraneo. Sono intervenuti, insieme a Giorgio Pagano, Nicola Caprioni, presidente del Circolo Pertini, e Chiara Dogliotti, storica. Numerosi i presenti, così come coloro che hanno partecipato al dibattito che è seguito: Egidio Banti, Paolo Putrino, Carlo Ruocco, Paolo Zanetti ed altri, a vario modo impegnati nel Sessantotto spezzino e sarzanese.
Per Chiara Dogliotti “Un mondo nuovo, una speranza appena nata” è “un esempio di microstoria: attraverso il prisma spezzino, in questo libro c’è tutto il Sessantotto”. Si tratta di “un libro sessantottino” perché “dà la parola a tutti e perché parte dalla dimensione soggettiva, individuale, per arrivare a quella collettiva, al coro, alla comunità”. Negli anni successivi “l’afflato libertario fu soffocato dalla dimensione collettiva, alla quale si reagì poi con l’individualismo”: “la sintesi tra libertà e eguaglianza, che Pagano definisce fratellanza, ci fu nel Sessantotto degli inizi”, poi andò perduta. Tuttavia, ha concluso Dogliotti, il Sessantotto ci ha lasciato i frutti della “rivoluzione molecolare”: “la vita delle persone e delle istituzioni è cambiata in meglio, chi allora non aveva diritti ha preso la parola, dagli operai alle donne agli omosessuali”. Il Sessantotto ci ha lasciato “anticorpi” ai disvalori emersi dagli anni Ottanta ad oggi, ha concluso la storica, che “sono validi ancora oggi”.
Anche per Giorgio Pagano il Sessantotto ha lasciato “pulsioni vitali, che sono segni difficili da cancellare”: “Il Sessantotto rifluì nelle vecchie idee contro cui si era battuto. Nacque l’estremismo. D’altro lato le pulsioni vitali del movimento non riuscirono a entrare nel patrimonio genetico delle varie forze politiche. Tutte le culture politiche, nel medio periodo, fallirono. Va aggiunto che ebbero certamente un ruolo anche altri attori politici, relegati nel ‘sommerso della Repubblica’: lo stragismo. Tutto ciò fece sì che il sogno di una generazione venisse spezzato. E’ vero che la ‘rivolta etica’ del movimento fu agente di riforme di notevole portata, sia pure non inquadrate in un progetto politico unitario. Ma già alla fine degli anni Settanta cominciò l’egemonia di un altro pensiero, di un’altra idea della modernizzazione: quella liberista. Gli anni Settanta, frutto dei processi vincenti negli anni Sessanta, furono progressivamente sconfitti dai processi definitivamente vincenti negli anni Ottanta.
Tuttavia le pulsioni vitali del Sessantotto degli inizi hanno lasciato segni che ci riguardano e ci parlano ancora. Non basta ‘il punto di vista di classe’, perché occorre creare un nuovo ‘senso comune’, una nuova moralità, un nuovo senso della vita: da qui la centralità della scuola, degli apparati dell’egemonia culturale, della riforma intellettuale e morale. Non basta la conquista del potere dall’alto, perché serve la liberazione della persona, la sua capacità di autodeterminare la propria vita. Non basta la politica come potenza, perché nella ridefinizione della politica è centrale il problema della nonviolenza. È vero, ‘andò diversamente’. Ma in quelle idee c’era una virtualità generatrice di futuro. Di quell’ebollizione, di quella grande marea l’onda di ritorno arriva fino a noi. Quei lasciti ci sono ancora, come potenzialità attuali. Come tracce di culture ‘dormienti’ che possono tornare in forme nuove”.