Renzo Fregoso ha raccontato se stesso, e con se stesso ha raccontato tante altre cose, dando vita, nella musicalità del dialetto spezzino, a quell'incontro con la città che, in occasione della festa patronale di San Giuseppe, si ripete ormai puntualmente ogni anno da ben sette lustri.
Se è vero, come ha detto nella sua introduzione il presidente dell'Accademia "Capellini" Giuseppe Benelli, che "una città, per essere davvero tale, ha bisogno di un suo poeta", Spezia quel poeta ce l'ha, e la vera e propria "standing ovation" che ha salutato Fregoso al termine della sua "circonlocuzione", in una sala che era gremita sin da mezz'ora prima dell'inizio, ne ha data conferma.
E forse non è un caso che il suo straordinario dialetto – straordinario sia nella forma musicale sia nel contenuto ironico e insieme sapiente – leghi insieme come pochi altri sanno fare le due "anime" della città: quella della grande tradizione religiosa (la festa patronale, appunto, che all'inizio di ogni primavera accomuna ancora oggi gli spezzini come tanti secoli fa) e quella cosiddetta "laica" (l'accademia scientifica che forse più di ogni altra istituzione le fa onore).
Fregoso davvero non si sottrae alla magia di questo "incontro": come quando ha parlato commosso di uno dei primi ricordi della sua vita, la processione mariana di un mese di maggio del lontano 1926, con una mano in quella della mamma e l'altra che teneva la candela fasciata di carta, nelle strade attorno alla chiesa della Scorza.
Se, come diceva La Pira, "anche le città hanno un'anima", l'anima di Spezia sta lì, in quei ricordi, che non sono solo ricordi, ma anche un modo bello e sereno di guardare al futuro. nonostante le incertezze dei tempi. Grazie, Renzo...