Quello che è accaduto al Ist-San Martino di Genova sabato scorso conferma quanto sia necessaria un'attenta vigilanza affinché sia garantito a tutti il diritto ad abortire in maniera sicura e controllata.
Negli ospedali liguri, in base ai dati forniti dalle Asl e a quelli del ministero della Salute, quasi tre ginecologi su quattro si rifiutano di praticare l'interruzione volontaria. Una scelta che viene seguita, sempre di più anche da anestesisti e personale paramedico. «È necessario – spiega Matteo Rossi, assessore e consigliere regionale Sel – che chi è responsabile della programmazione della rete sanitaria ospedaliera pubblica vigili affinché l'obiezione di coscienza non diventi un ostacolo al diritto all'aborto, sancito dalla legge 194 del 1978 e che, a distanza di trentasei anni, rischia di essere messo in discussione dallo stato degli eventi. In questo caso una 19enne ha atteso per ore che un medico portasse a termine l'iter di Ivg, ed è stato necessario l'intervento della Polizia perché ciò accadesse. Come capogruppo di Sel mi ero è occupato del tema già un anno fa, presentando un ordine del giorno che qualcuno non sottoscrisse, in parte per ragioni ideologiche. La vicenda di cronaca di questi giorni e l'indagine interna avviata nel reparto di Ginecologia del Ist-San Martino ci dicono che avevamo ragione. Sappiamo che anche a Genova è tutt'altro che debellato il fenomeno degli aborti clandestini, alimentato dalla difficoltà per una certa fascia di popolazione di accedere alle prestazioni del sistema pubblico (a causa delle lunghe attese) e dal non potersi permettere un ricovero in strutture private. Tutto questo è inaccettabile in un sistema sanitario pubblico».