Due famiglie immigrate dalle lontane Americhe, sono costrette a vivere nello stesso condominio condividendo il solito cortile in cui suonano e provano i relativi spettacoli a giorni alterni, in nome di un formale quieto vivere e non certo di una reciproca tolleranza. Julieta, argentina, Romeo, brasiliano. Un amore che nasce come “un fiore” nel marciapiede delle miserie umane, ma che ancora una volta è vissuto, da chi lo osserva dall’esterno, come un’offesa per le differenti culture. Due culture che hanno in comune l’orgoglio, l’appartenenza forte e radicata nelle proprie tradizioni, nei propri eccessi.
Per la prima volta il Coro Ragazzi F.De Andrè si confronta con il padre della drammaturgia occidentale William Shakespeare, e lo fa scegliendo la storia d’amore più popolare di tutti i tempi, già oggetto di molte rivisitazioni in chiave contemporanea ( da Wess side story di Bernstein a Romeo+Giulietta di Luhrmann), ma cercando una chiave espressiva personale, quasi estrema, come se il linguaggio verbale fosse già acquisito per cultura e per appartenenza e l’obiettivo quello di raccontare diversamente: diversamente Shakespeare.
Ci siamo posti davanti al testo come fosse una lunga didascalia di fatti noti, un patrimonio così comune da poterlo dare per scontato, creando una storia fatta prima di tutto di volti, corpi, di suggestioni, una vera partitura di suoni che si calano precisi e puntuali nella storia e in cui il testo diventa davvero evocativo: brevi e pochi ricordi di quello che fu.
Abbiamo rovesciato i personaggi: Tebaldo e Mercuzio sono femmine dominanti, la Balia è un maschio e lo speziale è una sorta di sacerdotessa dei riti candomblé afrobrasiliani.
Forse solo Romeo e Julieta sono sempre gli stessi, in ogni luogo e in ogni tempo, a ricordarci che nessuno come Shakespeare è riuscito a descrivere questo arcano mistero che guida le nostre vite: ‘sulle ali leggere dell’Amore ho scavalcato questi muri. Amore non teme ostacoli.’