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Villa romana del Varignano, gli scavi condotti da Antonio Bertino raccontati dalla figlia Lucia In evidenza

La testimonianza raccolta dal Cantiere della Memoria.

In vista dell’inaugurazione del museo e del rinnovato percorso di visita del sito archeologico del Varignano Vecchio, che si terrà domani, sabato 15 marzo, il Cantiere della Memoria ha raccolto la straordinaria testimonianza di Lucia Bertino, figlia di Antonio, l’uomo fondamentale nella scoperta del tesoro, scomparso nel 2012.
Fu infatti Antonio Bertino, nel 1965, archeologo della Soprintendenza, a dare avvio alla campagna di scavi, guidato da rinvenimenti, studi e intuizioni.
Fu lui a scrivere le prime pubblicazioni scientifiche per documentare quanto veniva riportato alla luce. All’epoca, Lucia aveva solo 16 anni e affiancò il padre nelle ricerche e negli scavi, sviluppando una passione che l’ha poi portata a laurearsi e a diventare funzionaria della Soprintendenza ai beni archeologici.

Lucia racconta che la villa si affacciava sul golfo tramite una spaziosa terrazza porticata. Un muraglione in opera pseudoreticolata, che fungeva sia da recinzione che da terrazzamento del fianco orientale di Poggio Lito, insieme a una cisterna di acqua potabile, la “contecta cisterna”, situata sulla sommità di Poggio Montà di Ria, erano le uniche testimonianze visibili di quella che si sarebbe rivelata una villa romana di tipo rustico-residenziale. Le ricerche iniziarono dal centro del muraglione, che gli scavi avrebbero poi svelato essere il lato di una grande corte rustica, ricca di acque correnti, e di una piccola darsena navigabile (navigabilis piscina), separate da una banchina, probabilmente porticata, attraversata da otto canali e collegata alla zona residenziale.
Proseguendo con gli scavi, vennero alla luce una serie di ambienti (oeci) distribuiti su due atrii compluviati di forma quadrangolare. Il primo, di tipo tuscanico, aveva un pavimento a mosaico con grosse tessere policrome disposte su un fondo bianco di tesserine di marmo, mentre il secondo, di tipo corinzio, era circondato da dodici colonne in pietra attorno a un bacino di impluvium, con un pavimento in cocciopesto rosso decorato da quattordici file parallele di crocette marmoree bianche. Da questo atrio si accedeva a una vasta sala di rappresentanza (tablinum), affiancata da oeci e da un hortus quadrangolare.

Nel corso del I secolo d.C., l’atrio corinzio e parte degli ambienti vennero trasformati in un impianto termale, che includeva apodyterium, frigidarium, praefurnium, calidarium e tepidarium, disposti nell’area dell’ex tablinum e in uno dei due oeci. Nel frigidarium, una vasca circolare con quattro nicchie e un tetto a cupola con foro centrale, fu trovata una statuetta marmorea di Igea, che aveva probabilmente trovato posto in una delle nicchie. Il passaggio dell’aria calda proveniva da un forno situato in un ambiente rustico, attraverso un sistema di doppio pavimento (con pilastrini di suspensurae) e doppie pareti formate da tegole hamatae. Contemporaneamente venne costruita una grande cisterna per l’acqua potabile, situata sulla sommità di Poggio Montà di Ria. Questa cisterna, a due navate divise da pilastri e con volte a botte, era rivestita in cocciopesto e dotata di sette contrafforti. L’acqua veniva convogliata tramite una rete di condutture di piombo per rifornire le diverse zone del balneum.

Nel tempo, le sovrapposizioni di murature rozze e le chiusure di soglie generarono piccole stanze, segno di un progressivo degrado dell’edificio. Continuando gli scavi verso il fondo della valle, al di là del tablinum, venne alla luce un porticato con grosse colonne fittili e un pavimento in cocciopesto rosso, risalente probabilmente al 110-100 a.C., che costituiva il primo nucleo della villa. Proseguendo verso la cisterna, a una quota superiore rispetto all’hortus, furono ritrovati due dolia e delle cellae per la conservazione dei cereali, oltre all’attrezzatura per la torchiatura e spremitura delle olive: questa era la pars rustica della villa. Nel torcularium, fu rinvenuta una delle due aree circolari in pietra, insieme al canalis, anch’esso in pietra, incorporato nel pavimento in opus spicatum, per il deflusso del liquido spremuto in due serbatoi (lacus) intonacati, collocati a un livello più basso.

Dai dati provenienti dagli scavi e dai numerosi materiali ritrovati, si deduce che su una prima costruzione, databile alla fine del II secolo a.C., fu edificato, all’inizio del I secolo, durante l’età sillana, un grande complesso residenziale con impianti produttivi e approdi, che continuò a essere in uso fino al VII secolo d.C. o forse agli inizi dell’VIII secolo. Durante questo lungo periodo, la villa subì importanti ristrutturazioni, tra cui, in età flavia, la costruzione di un balneum privato nell’area dell’atrio corinzio e di una grande cisterna sul poggio Montà di Ria. In età adrianea, l’area padronale subì nuove trasformazioni abitative, come testimoniato dalla presenza di laterizi con bolli provenienti dall’officina di Q. Asinius Marcellus. Altri lavori di sistemazione rurale risalgono alla metà del II secolo d.C., quando, a causa del generale declino del sistema insediativo e della riduzione del lavoro degli schiavi, la produzione di olio divenne meno redditizia. Di conseguenza, la zona della cella olearia venne ricoperta e trasformata in hortus. Un’altra importante ristrutturazione avvenne probabilmente nella prima metà del IV secolo, quando, a seguito di una riduzione della piccola proprietà, le terme furono abbandonate e ricoperte da spessi strati di terreno e macerie, per convertire l’antica villa in una struttura più utilitaria e produttiva. La vita dei residenti si concentrò così negli ambienti un tempo riservati al dominus, e per garantire stabilità alla nuova struttura, vennero realizzati vani con murature rozze poggianti direttamente sui pavimenti in marmo del tablinum e del peristilio dell’antico atrio tuscanico. Già nei secoli precedenti, il progressivo innalzamento del livello marino aveva reso necessari lavori di sopraelevazione dei pavimenti e delle soglie nelle zone più basse dell’edificio.

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