Dopo l'introduzione del segretario dell'Anpi di Follo William Domenichini, che ha definito il libro di Pagano "un libro di storia e memoria che tocca i sentimenti e nel contempo un libro politico che attualizza i valori e la concezione politica della Resistenza", è intervenuto Mino Ronzitti, presidente dell'Istituto ligure per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea. Anche per lui "Eppur bisogna ardir" è un "libro di storia e di politica, ricco di riflessioni e di emozioni, appassionato e coinvolgente, serio e originale, capace di cogliere la dimensione umana delle persone, non solo la dimensione politica dei soggetti collettivi". Ronzitti si è soffermato su quella che ha definito "la domanda di fondo del libro": "perché la Resistenza non è diventata una biografia della Repubblica?". Secondo il Presidente dell'Ilsrec "la guerra fredda mise al centro la discriminante comunismo-anticomunismo al posto di quella fascismo-antifascismo", impedendo al Paese di fare i conti con il proprio passato fascista e alla Resistenza di fare i conti con se stessa e le sue contraddizioni". "Siamo in un Paese -ha concluso- in cui è difficile avere la percezione di una storia e di una memoria condivise, per responsabilità delle classi dirigenti: lo smarrimento attuale deriva dai limiti dei partiti del dopoguerra".
Giorgio Pagano ha ricordato, in una sala intitolata a un partigiano della "Brigata Val di Vara" della Colonna "Giustizia e Libertà", presenti i due partigiani giellisti Carlo Borrini e Sergio Ferrari, il ruolo fondamentale di "Giustizia e Libertà" nella Resistenza, e in quella spezzina in particolare. E ha reso omaggio, in particolare, alle figure dei comandanti Daniele Bucchioni e Amelio Guerrieri. Pagano ha poi ripreso l'analisi di Ronzitti: "Nel dopoguerra l'anticomunismo ha diviso il fronte antifascista, ma la risposta dell'antifascismo fu tale per cui esso tese a riproporsi non tanto e non solo come insieme di valori più o meno condivisi dall'insieme delle forze che agiscono nello spazio repubblicano, ma come linea politica tendente a rimettere in discussione le divisioni interne fissate dalla guerra fredda". "Poi -ha aggiunto- ci fu l'identificazione tra compromesso storico e antifascismo, con la sconfitta del primo che portò all'emarginazione del secondo... la nascita di un partito unitario della sinistra avrebbe invece potuto 'sbloccare' la democrazia italiana dalla pregiudiziale anticomunista e contribuire a dar vita a due schieramenti alternativi ma uniti nella condivisione dei valori fondanti della Repubblica... perché nessuno avrebbe più potuto identificare antifascismo e comunismo". Finita la prima Repubblica, è cominciata "la stagione del leaderismo, della verticalizzazione del potere e della scomparsa dei partiti radicati nel popolo e costituzionali", che prosegue con le riforme costituzionali ed elettorali in atto, "che concentrano sempre più il comando in poche mani".
"Ora che la storia dei partiti è finita -ha proseguito Pagano- occorre ripartire dalle persone, dalle donne e dagli uomini semplici che hanno fatto la Resistenza e dalle donne e dagli uomini semplici della nostra storia del dopoguerra e di oggi". Quindi ben oltre la configurazione antifascista ma "animati dalla stessa scelta morale di settant'anni fa, dall''ardir', dal coraggio per il bene, per la cura degli umili e degli oppressi, per la libertà e la democrazia". Solo su questa base sarà possibile "ricostruire partiti veri" e "sconfiggere l'idea che ha dominato nell'ultimo ventennio: la 'governabilità', che ha portato all'uomo solo al comando e al cittadino spettatore, rassegnato e abulico".
Pagano ha concluso così: "A chi dice 'governabilità' noi rispondiamo, fedeli alla Resistenza e alla Costituzione: partecipazione civile e governo democratico" .