Giorgio Pagano, presidente dell'Associazione, ha definito nell'introduzione lo "stile di vita" come la parola chiave del libro: la dieta mediterranea è infatti "la costruzione di una cultura gastronomica che esprime la saggezza del territorio, la convivialità, la socialità, la conservazione del paesaggio", e che rappresenta quindi "un antidoto ai mali del nostro tempo, contrassegnato dal mercatismo e dall'individualismo privatistico". Elisabetta Moro ha raccontato le scoperte del grande scienziato americano Ancel Keys, che dopo anni di studio e di osservazione notò che i grassi producono le malattie cardiovascolari, e che la dieta mediterranea è la terapia preventiva. Era il lontano 1951. Keys andò a vivere con la moglie nel Cilento, innamorato di quella terra mediterranea dove la dieta a base di olio, pasta, pesce azzurro, legumi e vino garantiva lunga vita ai poveri contadini e pescatori del territorio, così come agli operai dell'Italsider di Napoli, a differenza dei ricchi manager americani. Lui stesso se ne andò alla bella età di 101 anni. Il Cilento, assieme ad altri territori del Mediterraneo, divenne Patrimonio mondiale dell'umanità nel 2010: o meglio lo divenne la dieta mediterranea. L'Unesco, ha spiegato la Moro, ha "voluto patrimonializzare non la piramide alimentare in sé, né i singoli prodotti agricoli o le ricette, ma piuttosto le pratiche, le poetiche, le retoriche, nonché le politiche sociali che trasformano il cibo in operatore simbolico, fattore comunitario e marcatore identitario". Insomma, per dirla con Plutarco: "Non sediamo a tavola per mangiare, ma per mangiare assieme". "Per la gioia del mangiare bene, sano e assieme -ha concluso l'antropologa- non c'è nulla di meglio al mondo che il cibo del Mediterraneo". Ed è lo "stile di vita" del Mediterraneo che ci salverà.