"I nostri laureati -ha aggiunto Solimine- sono circa la metà della media dei Paesi più sviluppati, non dovrebbe essere difficile collocarli: invece abbiamo una disoccupazione intellettuale tra le più alte. Un terzo dei nostri ingegneri è costretto a emigrare. E non solo loro: continuando così, emigreranno anche i giovani operai". L'ignoranza, però, non è spalmata equamente nel Paese e tra le classi sociali: il calo delle iscrizioni all'Università è considerevolmente più marcato al Sud e tra i figli degli operai. Ciò significa, ha spiegato Solimine, che "le differenze sociali che si erano ridotte negli anni 50-60-70, largamente per merito dell'istruzione di massa, hanno ripreso ad allargarsi". L'autore si è poi soffermato sui limiti del nostro sistema produttivo e industriale, che è molto debole e non riesce ad assorbire i giovani: "la grande impresa ormai in Italia non c'è più, e le piccole e medie imprese non hanno dimensioni tali da suggerire grandi investimenti in ricerca e sviluppo". L'impresa, insomma, non dà il buon esempio: la metà dei nostri manager non legge neppure un giornale. Solimine ha affermato che siamo giunti a questo punto perché "ai ritardi strutturali, storici, dell'Italia, si è aggiunto l'effetto del grande disinvestimento di questi ultimi anni". Si è trattato di una grande controrivoluzione culturale: da un sistema che vantava l'affermazione collettiva, basata sulla conoscenza come motore dell'ascensione sociale, a un sistema tutto incentrato sul successo individuale, sempre più spesso ottenuto per vie -il cosiddetto "capitale relazionale", cioè le raccomandazioni- che con i libri e lo studio non avevano niente a che fare. Pochi Paesi hanno tagliato i fondi per la scuola e la ricerca come noi: solo Portogallo, Spagna e Grecia. Nello stesso periodo Francia, Germania, Olanda, Svezia, Norvegia hanno invece aumentato di molto gli investimenti nel settore. "Siamo di fronte -ha concluso Solimine- a un colossale caso di miopia della classe dirigente. E' chiaro che gli investimenti in cultura hanno ritorni più lenti dei cicli elettorali, ma alla politica sarebbe richiesto uno sguardo se non lungo almeno di medio periodo. E invece ciò cui assistiamo è lo smantellamento della pubblica istruzione. Il mio libro può apparire pessimista ma lancia, a partire da quello che molti hanno definito 'un pugno nello stomaco', una prospettiva: l'investimento sul sapere come vero investimento sul futuro, perché è con l'ignoranza che non si mangia".