La precarietà, l'eccessiva burocratizzazione e le iniquità per molti settori erano già esasperanti prima dell'emergenza Covid-19; per molti lavoratori, quindi, la pandemia non ha fatto altro che rendere ancora più palesi problemi già presenti accentuando alcuni paradossi e reso eclatanti alcune mancanze.
Uno degli esempi più eclatanti di questa situazione è la realtà degli educatori, che rappresentano un aspetto fondamentale di un settore duramente colpito dall'emergenza, la scuola (come abbiamo raccontato qui). Per questo abbiamo contattato una cooperativa formata da una settantina di dipendenti che ha in appalto i servizi di assistenza specialistica nelle scuole del territorio spezzino. Hanno risposto alle nostre domande i membri del Collettivo Rete Operatori Sociali La Spezia che ne rappresenta 57.
Qual è attualmente la vostra situazione?
Noi siamo lavoratori dipendenti di una cooperativa sociale che, su appalto comunale, presta servizio di assistenza specialistica nelle scuole del territorio spezzino. I nostri contratti sono regolamentati dal contratto collettivo nazionale delle cooperative sociali, rinnovato lo scorso anno con quasi 6 anni di ritardo e già scaduto. Un contratto collettivo per nulla tutelante e che lascia enormi buchi che ogni cooperativa ed ogni ente appaltante possono riempire a piacimento. Il sistema degli appalti, poi, non ci permette nessuna stabilità; l'ultimo cambio d'appalto ci ha regalato un contratto nettamente peggiorativo rispetto al precedente: abbiamo perso l'articolo 18, siamo passati da contratti a part time orizzontale a ciclici verticali, e abbiamo visto l'introduzione del sistema della banca ore. In concreto, per chi non è del settore, sono paroloni che rendono legale il fatto che d'estate non si lavori e non si percepisca stipendio, e avendo un contratto a tempo indeterminato non si può accedere a disoccupazione o altri ammortizzatori. È anche legale perdere ore di lavoro durante l'anno scolastico, perché il sistema della banca ore permette di mettere a recupero tutte le ore di lavoro non prestate che per molti di noi sono impossibili da recuperare. Pensiamo a quando c'è un allerta meteo, quando ci sono riduzioni nell'orario scolastico per esigenze d'istituto o scioperi o assemblee dei docenti, per le chiusure pasquali e natalizie, i ponti e addirittura se l'alunno che ci è stato assegnato si assenta da scuola per più di un giorno. In tutte queste occasioni noi non veniamo pagati. Ora, l'emergenza sanitaria dovuta al Covid e la conseguente chiusura delle scuole ha fatto emergere con chiarezza una situazione che già aveva superato il limite, in cui le logiche del risparmio vengono indubbiamente prima dei diritti.
Con la pandemia avete cessato ogni attività o avete proseguito nel vostro lavoro sperimentando nuove frontiere? È possibile applicare il "distanziamento sociale" al vostro lavoro?
Con la chiusura della scuole a febbraio il servizio è stato bruscamente interrotto. Abbiamo incominciato a lavorare l'ultima settimana di aprile. Siamo stati dimenticati e non ascoltati per ben due mesi.
Dire che affrontiamo nuove frontiere rende poco l'idea. Di fatto stiamo cercando di organizzare e reinventare un servizio basato su relazione, contatto e comunicazione che nella maggior parte dei casi implicano molto più della semplice forma verbale, e lo stiamo facendo a distanza. La mancanza di contatto fisico rende tutto molto difficile ma ce la stiamo mettendo tutta e i nostri alunni ci stanno dimostrando che ci stiamo riuscendo. Purtroppo a livello nazionale non si è tenuto un granché conto delle esigenze degli alunni con problematiche importanti. Pensiamo alle piattaforme che non hanno un doppio canale comunicativo e che rendono di fatto la scuola meno fruibile agli alunni più svantaggiati. Insegnanti e dirigenti stanno facendo del loro meglio, e noi con loro, ma se questa situazione a distanza dovesse continuare lo stato deve pensare a qualcosa di diverso.
Il distanziamento sociale, per alcuni bambini e ragazzi, è sicuramente difficile da rispettare. Pensiamo ai bambini piccoli o ai ragazzi non totalmente autonomi che hanno bisogno di essere guidati fisicamente nelle loro attività. Per altri alunni, invece, è tutto molto più semplice. L'intervento futuro è purtroppo molto incognito, ma una soluzione auspichiamo che verrà pensata anche per loro.
Vi siete sentiti ascoltati dalle istituzioni?
Con le istituzioni abbiamo da subito cercato di avere contatti onesti e costanti, ma purtroppo rimangono comunicazioni a senso unico. Le loro risposte, quando ci sono, risultano sempre molto evasive e inesatte, e questi due mesi di totale silenzio da parte dell'amministrazione comunale spezzina lo dimostra. Il comune preferisce avere un rapporto diretto con i sindacati piuttosto che con i lavoratori. Questo potrebbe funzionare se poi i sindacati si rapportassero con noi ma, allo stato attuale, ognuno va per conto proprio e la voce dei lavoratori rimane l'unica a non essere mai ascoltata.
Tra l'altro constatiamo che ci viene sempre richiesto il massimo della preparazione e della professionalità, anche in un momento come questo di totale incertezza in cui navigare a vista é l'unica possibilità, senza però che ci sia mai una controparte sia essa di riconoscimento economico o di corsi di formazione che sono anche previsti in appalto.
Quali sono le vostre proposte per il futuro?
Sicuramente per un servizio come il nostro l'unica proposta possibile è l'internalizzazione. E come noi ci sono molti altri servizi con migliaia di lavoratori che svolgono mansioni/attività importanti che continuano a subire la mala gestione da parte degli enti, delle cooperative e dei sindacati. Non ha senso che un servizio pubblico sia privatizzato e che a farne le spese siano i lavoratori, perché è esclusivamente sulla forza lavoro che si può risparmiare. È a monte che deve esserci l'intervento e noi spingeremo in tal senso muovendoci insieme ad altre realtà unite in una rete nazionale. Svolgiamo un lavoro importante e dobbiamo essere tutelati come qualsiasi lavoratore: dobbiamo avere il diritto ad un salario dignitoso e sicuro che non ci faccia stare sotto la soglia di povertà, a lavorare in sicurezza e ad avere dispositivi di protezione individuale adeguati. Siamo stanchi di dare il massimo e di pagare sulla nostra pelle il risparmio degli altri.