Monsignor Eleazar Escobar – cappellano e docente alla Università “Nostra Signora del Rosario” in Bogotà – è stato di recente alla Spezia ospite a Sesta Godano dell’arcivescovo Angelo Acerbi, nunzio apostolico in Colombia dal 1979 al 1990, periodo durante il quale avenne la visita di Giovanni Paolo II. Monsignor Acerbi ha conservato un legame speciale con la Colombia, dove ha operato in un fase molto difficile della vita del paese: la sua figura, del resto, è stata al centro di un’intensa attività in molti anni al servizio della Santa Sede e del Sovrano Ordine di Malta. Grazie a lui, abbiamo potuto incontrare monsignor Escobar per porgergli alcune domande sull’ imminente visita in Colombia di Papa Francesco.
La visita di Papa Francesco segue quella di Paolo VI e di san Giovanni Paolo II. Qual è il suo ricordo di quei due importanti viaggi apostolici?
Ricordo molto bene la visita di Paolo VI. Avevo diciannove anni e stavo iniziando il seminario. Era il 1968, un momento storico particolare, quello della rivoluzione culturale mondiale. Ascoltare le parole del Papa fu particolarmente importante per i giovani. Davanti a una realtà sociale che tendeva sempre più a separarsi dalla spiritualità, Paolo VI seppe mostrare con lucidità le vie che l’umanità deve percorrere conservando il senso della fede per avviare una solidale collaborazione verso il bene comune. La figura di questo Papa mi colpì a tal punto che poi a lui ho dedicato dieci anni della mia vita, studiando il suo pensiero e raccogliendo i miei studi nel libro “Colloquium salutis” (”Dialogo della Salvezza”), uno studio sulla sua prima lettera enciclica “Ecclesiam Suam”.
Cosa ricorda della visita di san Giovanni Paolo II nel 1986?
Fu una visita emozionante. La Colombia era un paese convulso, dove imperversavano il narcotraffico, la guerriglia e forti conflitti sociali. Durante i sette giorni della visita, tutti i contrasti cessarono, tanto che sono rimasti nella memoria come i “sette giorni bianchi”. Giovanni Paolo II incontrò gli indios, i campesinos, i rappresentanti del governo e della società: a tutti rivolse il proprio messsaggio in favore della pace contro ogni violenza, proclamando un umanesimo illuminato dal Vangelo.
Martedì prossimo arriverà in Colombia Papa Francesco. Che paese troverà il Santo Padre?
Appena è arrivata la notizia ufficiale del viaggio del Papa, si è creato un clima di gioia e di attesa. È il primo papa sudamericano, è come un figlio di casa che viene a visitarci, ed è un grande orgoglio per noi, il primo latino americano che regge il ministero petrino. Come Università avevamo la disponibilità di duecento posti per l’incontro dei giovani, che siamo riusciti ad aumentare a novecento: questo dà il segno dell’entusiasmo che pervade il paese.
Sono previsti incontri con i guerriglieri che hanno deposto le armi dopo gli accordi di pace?
Non sono previsti incontri ufficiali con nessuna delle due parti, le vittime e i guerriglieri, ma il motto della visita è chiarissimo e sottolineato nelle parole “Demos el primer paso”, facciamo il primo passo verso la riconciliazione. Dopo più di cinquant’anni di striscianti conflitti, la Colombia ha veramente bisogno di un nuovo inizio, di una rinascita che tutti si augurano sia, attraverso la riconciliazione, di superamento di un passato tragico per tutti. Dopo gli accordi di pace e il disarmo del più importante e antico gruppo armato, le Farc, il paese è entrato in una nuova fase storica: il Pontefice desidera accompagnare il popolo colombiano in questo cammino di riconciliazione vera e di edificazione di una pace duratura.
Intervista realizzata da Vimal Carlo Gabbiani