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Assistenza infermieristica, cresce la spesa privata dei cittadini: il 15% degli italiani paga di tasca propria In evidenza

Sono 8.700.000 gli italiani che nel 2014 hanno usufruito di prestazioni di assistenza infermieristica erogate privatamente e hanno speso per queste, di tasca propria, 2,7 miliardi di euro.

Di questi, 6.900.000 assistiti hanno chiesto prestazioni una tantum, mentre 2.300.000 hanno avuto bisogno di prestazioni continuative. Ad aver bisogno di un'assistenza che il Servizio Sanitario Nazionale non ha garantito sul territorio sono stati il 44,4% dei non autosufficienti (1.400.000 persone), il 30,7% dei malati cronici (2.800.000) e il 25,7% degli ultrasettantenni (2.300.000).

I dati sono quelli della ricerca del Censis "Infermieri e nuova sanità: opportunità occupazionali e di upgrading. Le prestazioni infermieristiche nella domanda di assistenza sul territorio", elaborata per la Federazione dei Collegi IPASVI in occasione del XVII Congresso nazionale, che si è aperto oggi a Roma e che per tre giorni vedrà riuniti gli infermieri d'Italia per dibattere sul ruolo di questa figura professionale nella nuova Sanità e per sancire un nuovo Patto per l'assistenza con i cittadini.

Secondo la ricerca, la necessità per le famiglie di contenere le spese – giudicata sottostimata dagli autori dell'indagine per una fetta consistente di prestazioni che sicuramente, per colpa della crisi economica, sono richieste in nero dai cittadini agli stessi operatori – e la propensione a figure professionali non infermieristiche alimenta il fenomeno dell'inappropriatezza delle prestazioni. Oltre 4.200.000 italiani nei dodici mesi precedenti l'intervista del Censis si sono rivolti a figure non infermieristiche (badanti, familiari, conoscenti, etc.) per avere prestazioni di tipo sanitario per varie ragioni: la fiducia nella persona cui si fa ricorso (42%), il costo eccessivo di un infermiere (33,7%), la convinzione che per alcune prestazioni in realtà l'infermiere non sia indispensabile (31,5%). La maggioranza si dichiara tutto sommato soddisfatta delle prestazioni avute, e giudica gli eventuali danni subiti "residuali".

Tra coloro a cui si è fatto ricorso, le badanti sono una figura emblematica: nelle case in cui lavorano, gestiscono le terapie farmacologiche (88,8%), fanno iniezioni (32,3%), si occupano di eventuali bendaggi e medicamenti (30,4%), intervengono in caso di esigenze sanitarie che di solito richiedono il ricorso a infermieri (20,5%) e gestiscono un catetere (6,2%). Il 51,5% delle persone che impiegano una badante ritengono che la propria badante sia capace di svolgere prestazioni infermieristiche e il 30,6% la considera in grado di intervenire in caso di emergenze sanitarie.

Il 51% degli italiani che ricorre alla badante per prestazioni sanitarie lo fa perché pagare un infermiere in modo continuativo è troppo costoso. Per il 50,9% degli italiani esistono prestazioni semplici (iniezioni o medicazioni), per cui l'infermiere non è indispensabile. Il dato è più elevato tra gli anziani (55,4%), che sono consumatori più intensi di prestazioni infermieristiche.

Dall'indagine Censis emerge anche che esiste una domanda, reale e potenziale, di prestazioni infermieristiche alta e in crescita, e il numero di persone che hanno pagato direttamente di tasca propria è teoricamente ancora molto al di sotto del fabbisogno potenziale di prestazioni sul territorio e a domicilio. Ma nonostante ciò, sono evidenti situazioni di disoccupazione e sottoccupazione di infermieri, che spesso si rivolgono per lavorare a strutture private profit con la conseguenza di ottenere remunerazioni anche molto basse, ma a tariffe tutto sommato elevate per i cittadini.

La colpa di questa situazione è anche del blocco delle assunzioni nel pubblico, che, secondo la ricerca Censis, chiuderebbe molti sbocchi per gli infermieri. «La crisi economica ha danneggiato i cittadini ma anche diversi settori come quello infermieristico, spingendo verso un blocco del turn-over – commenta Carla Collicelli, Vice Direttore Generale del Censis – oggi il mercato è fermo, assunzioni non se ne fanno e i giovani laureati non trovano facilmente sbocchi nel pubblico; d'altra parte l'infermiere si vede prioritariamente come dipendente pubblico e non è particolarmente incline a entrare nel mondo del privato secondo regole precise. Bisognerebbe rafforzare la cultura imprenditoriale quindi: da un lato, le strutture sanitarie pubbliche per prime dovrebbero attivarsi al fine di favorire la continuità assistenziale post-ricovero, dall'altro gli infermieri devono iniziare a far propria l'idea dell'esercizio libero professionale sul territorio che può aprire importanti sbocchi lavorativi e soddisfare la grande domanda».

L'attività libero professionale o autonoma è considerata ancora dagli infermieri "una seconda istanza", se non addirittura un ripiego, una fase di passaggio verso la "vera occupazione" da dipendente, possibilmente nel pubblico. Così, in attesa di sbocchi migliori, tanti infermieri si collocano in posizione subordinata e di debolezza nell'ambito delle prestazioni infermieristiche di territorio, sviluppando un'attività fondata su reti parentali, relazionali e di vicinato, o accettando collocazioni a basso reddito nelle strutture di intermediazione, dalle cooperative alle agenzie che fanno incontrare la domanda dei cittadini con l'offerta di infermieri. Che la funzione di fare incontrare domanda e offerta sia strategica in questa fase lo testimoniano i dati della ricerca: il 25,4% degli italiani ha difficoltà a trovare un infermiere privato sul territorio in cui vive e molti ricorrono all'intermediazione di reti informali, parenti, amici e conoscenti.

«Dovremmo intervenire nel settore – commenta la senatrice Annalisa Silvestro, Presidente della Federazione IPASVI – per scongiurare quegli atteggiamenti a cui gli assistiti sono costretti per soddisfare il proprio bisogno di assistenza e per evitare che i nostri professionisti si trovino in situazioni di disagio e opacità lavorativa. D'altra parte che l'assistenza sul territorio sia carente e inevasa appare chiaro anche dai dati sull'applicazione del nuovo Patto per la salute, così come è evidente al contrario la necessità dei cittadini che questa decolli. Credo sia nostro compito intervenire. Non solo per ridare appropriatezza e continuità alle prestazioni infermieristiche, ma anche per mettere in sicurezza il cittadino nei casi in cui ricorre a persone al di fuori della professione. Potremmo coinvolgere il Parlamento per una proposta di legge che defiscalizzi le prestazioni assistenziali sanitarie se effettuate da infermieri e le Aziende sanitarie perché inseriscano e mantengano strutturalmente nel territorio infermieri educatori per informare, educare ed addestrare i familiari o i loro sostituti ad un accudimento informato, corretto e sicuro dei loro cari. In questo modo si potranno sostenere concretamente e rapidamente le tante famiglie italiane in difficoltà».

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