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Le parole del cardinale Betori, a Sarzana per il Preziosissimo Sangue

Il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, ha presieduto lunedì scorso a Sarzana la Messa pontificale in occasione della solennità cittadina del Preziosissimo Sangue, in onore della reliquia che si venera da molti secoli nella basilica concattedrale di Santa Maria Assunta.

Con Betori, che fu ordinato sacerdote dal vescovo di Foligno Siro Silvestri, originario del Sarzanese, hanno concelebrato il vescovo diocesano Luigi Ernesto Palletti, il vescovo emerito Bassano Staffieri ed una cinquantina di sacerdoti delle diocesi "eredi" di quella antichissima di Luni. All'omelia, il cardinale Betori dopo aver ricordato che «i cristiani di questa terra, in questa giornata di festa, rendono grazie a Dio per essere stati destinatari del dono di una preziosa reliquia, il Sangue stesso di Cristo, giunta in una ampolla, secondo la tradizione nel mare di Luni», si è soffermato sul significato teologico e pastorale della devozione al Sangue di Cristo. Questa festa infatti riconduce i cristiani «al centro del mistero della salvezza, a quel sacrificio redentivo da cui trae la sua sorgente e in cui si manifesta l'amore stesso di Dio. Quella della del Preziosissimo Sangue non è quindi una qualsiasi devozione, ma un invito prezioso per mettersi in atteggiamento di contemplazione e di rendimento di grazie di fronte al sacrificio di Cristo.» E «la liturgia – ha proseguito Betori – ci invita a farlo, a partire da un testo dell'Antico Testamento, in cui è fatta memoria del gesto che Mosè compie sul popolo mentre gli trasmette la legge di Dio. Le parole di adesione del popolo all'ascolto delle parole del Signore non sono sufficienti a sancire il patto di reciproca fedeltà. A farlo è un rito, in cui il sangue degli animali sacrificati sull'altare ai piedi del monte viene in parte versato sull'altare stesso, che diventa così presenza sostitutiva di quella del Signore, e in parte asperso sul popolo. Due affermazioni svelano il significato del rito stesso: il popolo proclama: "Quanto il Signore ha ordinato noi lo faremo e lo eseguiremo" e Mosè dichiara: "Ecco il sangue dell'alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole". La parola della Legge, che viene donata al popolo, si presenta come ciò che permette al popolo di diventare una cosa sola con Dio, legato a lui da un patto che egli stesso gli offre, un patto di comunione che si esprime come un'unità di vita: lo stesso sangue che è la sede e il simbolo della vita, scorre, per così dire, nelle vene di Dio e in quelle dei membri del suo popolo. Ma questo implica che d'ora in poi il popolo non potrà avere nella sua esistenza altra guida che quella Parola che ha ricevuto da Dio. Ambedue questi aspetti del significato dell'evento del Sinai ci interrogano. Anzitutto ci dicono che la vita non può essere intesa come un'esperienza del tutto autonoma, individuale, senza vincoli. Al contrario il sangue che ci fa vivere è un legame comune tra appartenenti a una comunità e soprattutto un vincolo indissolubile con la vera fonte della vita, che è Dio. Vengono così messe in crisi tutte le pretese di falsa autonomia dell'uomo del nostro tempo, che ritiene di affermare se stesso nella negazione di ogni vincolo, soprattutto se trascendente e quindi fondante». Il cardinale Betori ha quindi concluso sottolineando che «come cristiani siamo chiamati a compiere un ulteriore passo in avanti in questa consapevolezza, il passo che ci deriva dal riconoscere la persona di Gesù come la nuova alleanza che Dio ha offerto a tutta l'umanità, dopo aver constatato il naufragio della prima alleanza donata al popolo. Ora alla fedeltà del Padre risponde la fedeltà del Figlio, ed è il sangue suo a diventare lo strumento di una nuova comunione che stabilmente abita la storia umana, a partire dal suo sacrificio sulla croce».

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