Dal Ponente ligure è pronta a partire la più grande svendita sanitaria della storia della nostra regione: una gigantesca operazione da 385 milioni di euro complessivi per 7 anni, prorogabili di altri 5, che coinvolge gli ospedali di Albenga, Cairo e Bordighera e rischia di segnare una linea di non ritorno nelle politiche sanitarie regionali, oltreché la fine del concetto di sanità pubblica e sociale così come è sancita dalla Costituzione italiana.
Ecco il risultato di un processo avviato a livello nazionale dal Governo Monti, che ha inserito in Legge di Bilancio l’obbligo, per aziende ospedaliere e Asl, di rispettare una sorta di equilibrio economico, anche potenzialmente a scapito dei servizi. Con questi presupposti, è chiaro che un pronto soccorso pubblico difficilmente potrà stare in piedi dal punto di vista economico, ma non possiamo per questo mettere in discussione la funzione sociale e di presidio che esso ha per interi territori e che nessun privato potrà mai sostituire: il timore fondato, infatti, è che gli appetiti dei gruppi privati si concentreranno su reparti e specialità ad alta rendita, lasciando inevitabilmente scoperta la prima assistenza e trasformando i pronto soccorso in meri punti di primo intervento potenziati. È ragionevole pensare anche che i casi più gravi ed emergenziali siano a loro volta demandati al pubblico dagli istituti privati, che non vogliono rischiare di compromettere le loro statistiche, ma sarebbe allora un pubblico depotenziato con servizi probabilmente più scadenti, visto che la Regione investe solo nel privato a scapito del pubblico. È totalmente mancata da parte di Regione Liguria una programmazione sanitaria in grado di rendere il pubblico migliore e competitivo: in questi due anni e mezzo si è via via andati a impoverire e a spolpare la sanità pubblica, spalancando di fatto la porta ai privati.
Con Toti abbiamo assistito addirittura ad un’accelerata di quel processo di esternalizzazione dei servizi sanitari già avviato dalla precedente Giunta Burlando. Da oggi esisterà una sanità che sulla carta si professerebbe di serie A e all’insegna del profitto e una sanità pubblica declassata in serie B, spolpata di servizi e livelli essenziali di assistenza ma con l’onere del primo intervento e dei casi più gravi. E intanto, mentre con una mano la Regione investe 385 milioni di euro per aprire la porta ai privati, con l’altra taglia un milione e mezzo di euro all’ospedale Gaslini per i servizi essenziali di pulizia, con conseguenze potenzialmente gravi sulle condizioni igieniche dell’ospedale dei bambini. È questo il modello lombardo che Toti vuole trapiantare in Liguria. E non è un buon modello.
Alice Salvatore e Andrea Melis, portavoce MoVimento 5 Stelle Liguria