Abbiamo letto sul Secolo XIX di domenica 22 ottobre la ricostruzione della visita sull’isola Palmaria di un imprenditore, Michele Denegri (a luglio ha acquistato la ex Locanda San Pietro, ndr), arrivato con elicottero privato e accompagnato poi da sindaco e tecnici del comune a visionare alcuni beni in dismissione tra cui il Forte Palmaria. Questa visita apre la strada a non troppo fantasiose ipotesi sul futuro dell’isola, futuro che era già stato tracciato quando si parlava di Capri della Liguria o di turismo di altissimo livello.
Ci sono due aspetti di questa vicenda che vanno messi in evidenza. Il primo è di ordine sociale/costituzionale e non ci riferiamo solo ai beni in dismissione dal demanio militare ma anche a quelli già nella disponibilità del Comune come Casa Carassale sull’isola o la casa del Capitano sul promontorio di Porto Venere. Della vendita di casa Carassale a una società con sede in Estonia (ma con nomi italianissimi nel C.d.A.) si parla nella stessa pagina del giornale, mentre l’asta per la casa del Capitano deve ancora essere bandita. Si tratta, dicevamo, di due beni appartenenti al Comune, cioè alla Comunità e, come scrivono autorevoli costituzionalisti come Paolo Maddalena, tali beni sono a tutti gli effetti beni comuni, cioè beni “fuori commercio e in proprietà collettiva, e che, pertanto, sono inalienabili, inusocapibili e inespropriabili”.
La comunità invece è stata e sarà privata di beni che le appartengono e dei quali non potrà più usufruire, ricavandone vantaggi economici miseri e di breve durata. Ne uscirà, in poche parole, irrimediabilmente impoverita. Ci sono leggi, che definiamo sciagurate, che consentono queste vendite per far quadrare il bilancio e che hanno fatto perdere di vista agli amministratori il bene comune di tutti i cittadini. Poco importa se ci si disfa di un invidiabile patrimonio culturale e naturale, quello che prevale è attribuire valore a un bene solo se tale valore è quantizzabile, monetizzabile, se contribuisce a “fare cassa”.
Nessun amministratore è però obbligato ad agire secondo quanto indicato da queste leggi, sta alla sua sensibilità a alla sua lungimiranza decidere come sopperire alla mancanza di trasferimenti dallo Stato.
Il secondo aspetto riguarda invece la sdemanializzazione dei beni militari sull’isola e la procedura di Masterplan che, anche con un notevole costo economico, la Regione Liguria ha messo in piedi.
La Regione ha infatti incaricato lo studio Land di Milano, architetto Kipar, di redigere, in concorso con lo studio Reag, un Masterplan e ha avviato un percorso partecipato per coinvolgere cittadini e associazioni nella stesura di questo piano. Proprio il giorno prima della visita dell’imprenditore sull’isola si era conclusa una due giorni di passeggiate, discussioni e presentazione di proposte che aveva visto coinvolti, accanto ai tecnici dello studio Land e dello studio Reag, numerosi cittadini e associazioni. Ne eravamo usciti tutti guardando con fiducia al prosieguo di questi incontri, l’architetto Kipar si era lasciato andare a espressioni rassicuranti, per noi, sul futuro dell’isola. Ci chiediamo se era al corrente di quanto sarebbe avvenuto da lì a poche ore.
Come cittadini ci sentiamo presi in giro, lasciati vagare per l’isola (tra l’altro a noi è stato negato l’accesso a Forte Palmaria con la scusa della sicurezza, problema evidentemente risolto il giorno dopo) a illudersi di avere una qualche voce in capitolo mentre altrove si giocava la vera partita.
Non dimentichiamo che l’isola è Parco Naturale, Sito di Interesse Comunitario, Sito Unesco, Zona protetta a terra e a mare e che la tutela e la salvaguardia dei valori che le hanno permesso questi riconoscimenti devono essere prevalenti su ogni altro interesse.
Ribadiamo quanto abbiamo già scritto e pubblicato sull’isola e sul suo futuro: vorremmo Palmaria libera, pubblica, accessibile e naturale, aperta a un turismo sostenibile e soprattutto consapevole e rispettoso del tesoro che, sottolineiamo ancora una volta, ci appartiene e che, come scrive l’Unesco, abbiamo il dovere di preservare per le future generazioni.
Abbiamo inserito una richiesta nel documento inviato al Tavolo Tecnico e la ripetiamo con maggiore forza dopo quanto avvenuto: chiediamo che nell’eventualità che un numero molto ridotto di beni (ci riferiamo a abitazioni, dalla vendita devono essere esclusi i beni storici e artistici) debba essere venduto a privati per far fronte alle condizioni imposte dalla Marina, le vendite abbiano inizio in una fase successiva rispetto alla progettazione e questo affinché il privato potenzialmente interessato a investire sull’isola si metta in gioco conoscendo i vincoli imposti dal Masterplan. Potrebbe esserci in caso contrario il rischio, assolutamente da non correre, che siano gli investitori a guidare la progettazione verso i propri scopi.
Speriamo non sia già troppo tardi.
Associazione Posidonia