La notizia che la centrale Enel di Vallegrande, per decenni incubo degli spezzini per le emissioni inquinanti, ospiterà un modernissimo impianto per la produzione di idrogeno green apre nuovi scenari sull’impegno della nostra provincia per l’ambiente. Piuttosto sconcerta che un impianto compatibile con i cambiamenti climatici, definito CO2 Neutral, venga finanziato con soli 14 milioni di euro dei fondi PNRR.
A soli sei km di distanza, a Saliceti, la Regione e la Provincia hanno sponsorizzato il finanziamento PNRR di 40 milioni di euro di un biodigestore per produrre “biometano”, dal 2035 combustibile al bando della UE per l’autotrazione, dato che di bio ha solo la materia usata (rifiuti organici e prodotti vegetali).
Eppure la settimana scorsa si era aperta col ceffone dell’Europa all’Italia, perché insiste su voler andare oltre il 2035 nella produzione di motori endotermici, puntando sul biometano. La commissione europea viceversa ha promosso la Germania, che per mantenere la produzione di motori endotermici sta puntando decisa sull’idrogeno green.
Non è una questione politica. La ragione è esclusivamente scientifica e ambientale. Tra produzione e consumo un biodigestore produce più CO2 del metano fossile! In Europa finalmente qualcuno ha osato dire che il re è nudo: il biometano non è green.
LE CARATTERISTICHE CHE FANNO PREFERIRE L’IDROGENO AL BIOMETANO
I dati di efficienza energetica parlano chiaro. Un kg di idrogeno (H2) equivale in termini energetici a 2,4 Kg di metano. Il rendimento dell’idrogeno in autotrazione è del 60%. Del metano del 35%: quasi la metà. Il problema dell’idrogeno è la quantità di energia necessaria per produrlo per idrolisi. E Vallegrande può essere un laboratorio per ottimizzare il processo, favorendo la ricerca e l’occupazione di manodopera qualificata. E’ un investimento sul futuro.
Dal punto di vista ambientale l’idrogeno ha come “scarto” l’acqua. Zero CO2.
Un biodigestore delle dimensioni di quello di Saliceti emette in fase di lavorazione 4 milioni di m3 anno di CO2, acido solfidrico, polveri sottili PM2 e PM10 e altre sostanze sospette cancerogene (es. formaldeide), quando in fase di lavorazione si brucia il biogas. E consuma 1 tonnellata d’acqua per ogni 5 tonnellate di rifiuto. Un assurdo in tempi di siccità.
Chiediamo ai sindaci, ai consigli comunali, ai nostri parlamentari, che ne devono discutere a Roma, al presidente della Regione Toti, al presidente della Provincia Peracchini: vale la pena finanziare con 40 milioni di euro dei fondi PNRR un impianto che tra poco più di dieci anni sarà obsoleto? E di quei 40 mila metri quadrati di terreno agricolo cementificato cosa ne faremo? Per un raggio di dieci chilometri gli abitanti avranno respirato ogni sorta di veleni. Sperando che non avvenga qualche incidente a inquinare la falda del Magra sulla quale sorgerà. Occuperà solo 20 maestranze di bassa qualifica. La Regione condanna la Val di Magra a pattumiera del Levante ligure per un quarto di secolo. Ora che l’Europa ci concede di rivedere i piani PNRR, non è più saggio e lungimirante dirottare i 40 milioni di euro su una tecnologia che faccia della Spezia un polo tecnologico avanzato?
Chiediamo di aprire un confronto anche con Iren, che ha puntato su una tecnologia che sta in piedi solo per gli incentivi che i cittadini pagano nelle bollette (lo hanno scritto i loro avvocati nella memoria al Tar). Né il colosso emiliano, né la politica spezzina possono dimenticare che c’è una gara europea raggirata. E questo continueremo a denunciarlo in tutte le sedi, italiane ed europee, politiche e giudiziarie..
Per le 26.000 tonnellate di rifiuti organici spezzini basta un impianto di compostaggio a zero emissioni di inquinanti. E’ una prova di lungimiranza per la nostra classe politica.
Comitato Sarzana, che botta!