Quale futuro, qui e ora, ci immaginiamo per la nostra città? Ma, soprattutto, cosa stiamo facendo, adesso e non in un futuro prossimo e dunque lontano e sfuggevole, per costruire quella città che dovremo lasciare ai nostri figli e ai nostri nipoti, nella speranza che sapranno fare meglio di noi?
Abbiamo voluto continuare a porre queste domande anche ai candidati dei vari partiti e delle varie liste in lizza per le prossime elezioni regionali. La Gazzetta della Spezia ha spedito le domande e oggi riceviamo la risposta di Pier Aldo Canessa, 67 anni, candidato di Articolo Uno nella lista unitaria Pd.
Canessa è un rappresentante di quella società civile che in qualche modo si affianca ai “politici di professione” per cercare di portare qualcosa di diverso e di nuovo nelle istituzioni. È stato fino a poco tempo fa un primario ospedaliero, quindi di un dirigente della Sanità Locale e professore per 16 anni alla Scuola di Specializzazione Medica dell'Università di Genova. Ha dato vita, assieme ad altri, al Manifesto per la Sanità Locale.
L’intervista è lunga ma approfondita e ci fornisce la possibilità di analizzare bene la posizione e le intenzioni di Canessa. Aspettiamo le risposte degli altri candidati ai quali abbiamo inviato le stesse domande.
G.d.S. - Sono passati 151 anni da quando il generale e architetto Domenico Chiodo inaugurò l’Arsenale Militare della nostra città. Da quel giorno cambiò radicalmente la natura e il destino di Spezia e degli spezzini. Quella che sembrava destinata a diventare una “splendida perla sul mar”, una città turistica e a vocazione terziaria, si trasformò prima in una città militare, basata sul parastato e successivamente in una città industriale legata alla difesa. Poi, negli anni Sessanta del secolo scorso, in maniera quasi casuale, si ricominciò piano piano a riconsiderare la natura turistica della nostra terra. Il risultato oggi? Una citta “mesciüa” dove si mischiano panorami mozzafiato e oasi di una bellezza straordinaria agli insediamenti industriali e portuali, dove le attività cantieristiche di eccellenza hanno fatto fatica a conquistarsi un giusto spazio. Insomma, ma che razza di città è oggi Spezia e la sua provincia?
Pier Aldo Canessa. Certo la storia è quella. Al di là di Domenico Chiodo e del suo rilievo storico, alla fine del Risorgimento e riunificata l'Italia, la nuova nazione aveva bisogno di una flotta militare e di un nuovo Arsenale. Fu scelta Spezia, anche se quella scelta era già stata individuata nei decenni precedenti. Fu così segnato il destino di un golfo e di una città che avrebbero potuto coltivare una loro vocazione turistica col terziario ad essa collegato? La domanda è lecita ed anche suggestiva, ma ho il dubbio che storicamente non regga. Possiamo parlare di turismo, come vocazione dell'epoca, a metà dell'800? Quante unità o persone coinvolgeva e interessava? Il “Gran Tour”, che nasce alla fine del '600 e prosegue fino all'800, era il viaggio e la permanenza, di svago e culturale, di ristrette élite di aristocratici e artisti soprattutto nordeuropei. Il turismo contemporaneo, come oggi noi lo intendiamo, nasce e si sviluppa con il miglioramento di reddito dei ceti medi, nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale. Collocare nella seconda metà del XIX secolo un destino o una vocazione turistica mi pare una forzatura storica.
Si può anche ironizzare sulla città polifunzionale, o città “mesciüa”, ma bisogna anche riconoscere che le città con più funzioni e con diversificazione produttiva sono le città più resilienti, che meglio reagiscono ai contraccolpi della storia e delle sventure. Oggi le cittadine turistiche e del terziario connesso sono quelle che più soffrono per la pandemia di Covid. Dove più alto è il numero dei disoccupati del terziario. Si riprenderanno, certamente, ma la loro crisi non sarà superata a breve.
Qui da noi la crisi può essere meglio fronteggiata: vi è una significativa presenza manifatturiera di alta qualità (Leonardo, Fincantieri, cantieristica della nautica) con notevole occupazione che potrebbe aumentare, anche considerevolmente, un porto commerciale e turistico (crociere) che può dare ancora molto sia dal punto di vista occupazionale sia da quello della qualificazione dell'imprenditoria logistica, dopo il suo notevole sviluppo negli anni '70 e '80.
E anche il turismo può ulteriormente crescere innovandosi. Esso si è radicato in tutta la nostra provincia sospinto da eventi e tendenze non solo locali. Già detto del legame tra incremento del reddito e sviluppo turistico, radicamento delle crociere nel porto della Spezia, ma anche per la scelta strategica di istituire grandi parchi nazionali e regionali che hanno tutelato parti notevoli del nostro territorio preservandone l'appetibilità ambientale, paesaggistica e turistica. Dico in sostanza che abbiamo leve e punti di forza dai quali occorre partire per un rilancio complessivo della nostra economia e per offrire risposta solide al grande e prioritario tema dell’occupazione, in particolare quella della nostra gioventù. Cominciando a ragionare nel concreto sul nostro futuro. In cui, è questa la chiave di volta, lavoro, ambiente e sviluppo insieme di tengono e si sostengono.
G.d.S. Proviamo a immaginare il futuro adesso. Quello che vedranno i nostri figli e i nostri nipoti. Quale città gli stiamo preparando? O meglio, quale città pensa che valga la pena di preparare loro? E quale sarà il suo impegno in Regione in questo senso?
P.A.C. La prima e centrale preoccupazione è quella di creare le condizioni perché i nostri figli e nipoti, femmine e maschi in ugual misura, possano avere una buona, stabile e qualificata occupazione lavorativa per poter rimanere in questa nostra città e provincia. Provincia che non è pienamente costruita a misura di giovane: i trasporti pubblici sono carenti e spesso problematici, la notte praticamente inesistenti. A mancare sono le cose più banali come, ad esempio, dei cestini per gettare l’immondizia che, se vogliamo, potrebbero essere posizionati in punti strategici e potrebbero essere differenziati, come già accade in diverse realtà a noi vicine. Nell'immediato occorre però sciogliere alcuni nodi che oggi, a differenza del passato, si possono finalmente affrontare.
È pensabile che dobbiamo tenerci dentro il perimetro urbano di Spezia una centrale termoelettrica, anche se riconvertita a metano? Prima di tutto è un crimine ambientale: non si fanno, ne andrebbero rinnovati, dentro l'abitato di una città questo tipo di impianti ad altissimo impatto ambientale e sanitario. La riconversione a gas metano produrrà un enorme inquinamento da anidride carbonica. Ai miei pazienti all'ospedale facevo somministrare all'occorrenza l'ossigeno, non l'anidride carbonica. Con quella sarebbero morti! Oltre tutto la CO2 (anidride carbonica) è più pesante dell'aria e ricade al suolo dove vivono gli umani. Se ne giovano soltanto i vegetali che di quella si nutrono per accrescere con la fotosintesi clorofilliana. Se proprio si deve fare una centrale a gas si faccia altrove, lontana dai centri abitati.
Non c'è solo l'aspetto della tutela dell'ambiente e della salute delle persone. C'è anche quello dello sviluppo e dell'occupazione. È mai pensabile dedicare alla centrale Enel di più di 70 ettari, che darebbe lavoro a sole pochissime decine di lavoratori, un’area particolarmente dotata ed appetibile per investimenti produttivi ad alta intensità di occupazione? Non conosco, perché non c'è, in tutta la Liguria come in tutto il territorio nazionale un'area così vasta e così dotata di infrastrutture. All'entrata del porto mercantile, direttamente servita dall'autostrada con lo svincolo degli Stagnoni e lambita dalla rete ferroviaria. Questa è un'area pregiata che può attrarre come una calamita, demolita la centrale e bonificato il suolo, un tessuto ricco di attività manifatturiere, di innovazione tecnologica, di ricerca e di indotto. E con esse una elevata offerta di buona occupazione. Il presidente Toti si è già informalmente impegnato con Enel a perpetuare quella servitù che ostacola lo sviluppo produttivo e occupazionale della città e dell'intero territorio provinciale. In urbanistica ed in sociologia questa sarebbe la perpetuazione di un'area sacrificale. Così vengono definite in letteratura quelle aree dove si produce un bene, in questo caso energia elettrica, che viene soprattutto utilizzato altrove. Lasciando al territorio “sacrificale” l'inquinamento e la sottoccupazione. Dopo 60 anni di questo sacrificio è l'ora di finirla. A Spezia c'è il vecchio detto dialettale “un po' pè un en brasso a mà”. L'Enel trovi altrove e altrimenti le sue soluzioni alternative. Ovunque fuorché all'interno dei centri abitati.
G.d.S. Cerchi di trasformare questo “sogno” ideale in un progetto concreto su cui lavorare fin da subito. Cosa c’è o cosa ci sarebbe da fare per “scaricare a terra” questa idea? Quali obiettivi primari per la nostra provincia proporrà nell’azione della prossima legislatura regionale?
P.A.C. Sempre a proposito di progetti concreti su cui lavorare da subito è ora il momento di “portare a casa” un obiettivo storico per tutta la provincia della Spezia, del levante ligure, e della Toscana. Parlo del collegamento ferroviario che collega l'alto Tirreno e il golfo della Spezia con l'Oltre Appennino. La linea esiste ed è antica. Fu realizzata a fine '800 a binario unico. È la Pontremolese che non è più adatta ai tempi nostri. Da circa 40 anni, con alti e bassi, si lavora al suo completo rifacimento e raddoppio. Un po' per volta e a tratti successivi, si è rifatta per larga parte la tratta a doppio binario impegnando notevoli risorse finanziarie pubbliche. Rimangono ancora alcune brevi tratte da fare, ma soprattutto la parte più impegnativa e costosa: la nuova galleria di valico a binario doppio senza la quale non si sfrutta e valorizza tutto ciò che si è fin qui si è realizzato. Principalmente non le si consente di raggiungere quella potenzialità di traffico merci e passeggeri che le farebbe finalmente superare la sua vetustà di fine '800. Occorrono circa un miliardo e mezzo di euro, poco più poco meno, e la progettazione definitiva della galleria nuova per concludere il rinnovamento completo dell'intera linea Pontremolese.
Ora l'Italia, dopo la svolta di indirizzo economico, politico e sociale compiuto dall'Unione Europea, ha a sua disposizione un ingente credito a tassi assai convenienti, con una parte a fondo perduto. Circa 220 miliardi di euro, un’entità di tutto rilievo da utilizzare in infrastrutture e decisioni atte a rilanciare la produttività, l'economia e la occupazione in Italia dopo la recessione dovuta alla pandemia. Ciò mi induce a ritenere questo il momento buono e giusto per rilanciare con forza l'effettivo completamento della nuova Pontremolese. È un'opera fondamentale per l'innovazione dell'intera rete ferroviaria nazionale, per il Corridoio Tirrenico di rilevanza comunitaria nonché per la qualificazione ed aumento dei traffici da e verso il porto spezzino. Al contempo è anche un'opera che sostiene un significativo miglioramento ambientale perché trasferisce quote crescenti di traffico dai camion e Tir alla ferrovia. Si confermerebbe ancora che l'apertura e la ristrutturazione delle grandi reti infrastrutturali comportano sempre innovazione, sviluppo e crescita occupazionale. Così come le grandi reti informatiche e delle telecomunicazioni modernizzano e sostengono la produttività dell'economia nazionale e l'innovazione tecnologica dell'intero sistema produttivo se la presenza della mano pubblica ne garantisce l'imparzialità e l'interesse collettivo.
Come si può constatare, ho trattato temi assi concreti senza genericità propagandistica e li sosterrò assieme a tante altre questioni e progetti su cui da sempre sono impegnato. Sono i temi sociali a cominciare da una nuova e più giusta organizzazione sanitaria in Regione ed in particolare qui da noi, dove la sanità pubblica è in uno stato di crisi profonda che trascende dall'impegno e dalla qualità di numerosi singoli operatori sanitari. Sono stati fatti non sempre incoscientemente errori madornali in questi ultimi anni. Due su tutti, in particolare. Il primo è stato l'aver boicottato in tutti i modi l'appalto del nuovo ospedale del Felettino. Io, con l'avvocato Tortorelli e gli altri amici del Manifesto per la Sanità Locale, ho seguito passo dopo passo e acquisito ogni documento amministrativo inerente quell'appalto. Una vicenda grottesca, persino nei dettagli. Anche scandalosi. Proprio perché ho seguito con attenzione quel procedimento ho la forte convinzione che vi sia stata una volontà e persino una chiara regia di blocco, contraria alla realizzazione del nuovo ospedale del Felettino. È pure possibile che anche l'impresa abbia commesso errori, ma i contrasti in un appalto o si risolvono o si accantonano per perseguire la realizzazione dell'opera. Dopo - a opera conclusa, consegnata e funzionante – si apre un contenzioso giuridico ed economico tra appaltatore ed appaltante secondo le modalità previste dal contratto di appalto; o di fronte al tribunale o nel collegio arbitrale. Non importa la durata del contenzioso. Importa che l'ospedale è finito, funziona e i cittadini lo usano.
Aver sabotato e gettato all'aria quell'appalto ha avuto ed avrà delle conseguenze. A breve ci sarà il ricorso in tribunale. Vedremo chi soccomberà nel giudizio, ma già da ora sappiamo che le vittime di quella scelta sbagliata sono i pazienti senza il nuovo ospedale, sono i molti ricoverati al Sant'Andrea che rimane un edificio inadeguato e vetusto, per giunta dimezzato per la demolizione del Felettino. E tra le vittime annovero anche tutto il personale sanitario costretto a lavorare in una decrepita struttura ormai al collasso. E sarà così ancora per parecchio tempo, forse anni. Dicono ora che stanno lavorando speditamente ad un nuovo appalto. Sono balle e scartoffie. È tutto fermo in attesa dell'esito della causa che l'impresa ha aperto nei confronti della Regione. E siccome nessuno di loro può saper come finirà, nessuno di loro farà nel frattempo un nuovo appalto.
A meno che con l'avvento di una nuova Giunta Regionale e di un diverso Presidente di Regione si possa rimediare ai guasti e alle responsabilità di Toti e della sua intera cordata. L'altro grave errore di questa Giunta Regionale è stato quello di non porre alcun rimedio alla grave mancanza di personale. Tra tutte le ASL della Liguria, l'ASL 5 è la più povera di addetti. In media in Liguria ogni 10.000 abitanti vi erano 153 dipendenti del Servizio Sanitario Regionale, nella nostra ASL 5 100. Persino la piccola ASL 4 di Chiavari ne aveva 127. Dopo il Covid la situazione non è migliorata. Dal 2017 ad ora abbiamo perso 8% dei Medici. In questi anni non solo non hanno riequilibrato le evidenti disparità, ma non hanno neppure rimpiazzato il personale che nel frattempo è andato in pensione o in altre Regioni perché lavorare nella nostra Asl è un problema. C'è da chiedersi se tutto ciò sia casuale, dovuto all'incapacità o peggio, oppure faccia parte di una strategia di impoverimento e dissoluzione per creare le condizioni per passare poi la palla ai privati gestori della sanità. Io penso che vi siano entrambe le cose: incapacità conclamata mentre si agisce per fare l'interesse della sanità privata impoverendo quella pubblica. È evidente che mi batterò sempre per la sanità pubblica, per il nuovo ospedale di Spezia e per il rilancio e riqualificazione del San Bartolomeo di Sarzana.
Assieme a ciò va ripensata e ricostruita la medicina sul territorio, oggi in uno stato di marginalità e burocratismo. Vanno realizzate in numero adeguato le Case della Salute e fatte funzionare riprendendo le migliori esperienze fatte in altre Regioni: Veneto, Toscana ed Emilia che non a caso sono state le più efficaci a fronteggiare l'epidemia di Covid. Occorre valorizzare con questi presidi territoriali i Medici di Famiglia o Medici di Medicina Generale, a contatto e collaborazione di specialisti, con adeguata attrezzatura diagnostica e con il ruolo di Infermieri di Famiglia operanti sul territorio. L'obiettivo è quello di curare a casa le persone, gestire con i servizi territoriali le cronicità, le disabilità, riservando il ricovero ospedaliero alla fase acuta della malattia.
G.d.S. La politica, si dice, è l’arte del possibile. Ma è anche, come insegnava don Lorenzo Milani, il modo per “sortire insieme dai problemi comuni”. E allora che fare per cercare, qui e ora, di costruire e raggiungere quel futuro che hai immaginato per Spezia, quel futuro-bene-comune per i cittadini che verranno?
P.A.C. Domanda molto politica a un cittadino che di professione non ha fatto né fa il politico, pur avendo le mie opinioni. Le rispondo da cittadino e candidato indipendente con una mia personale collocazione ideale nell'ambito della sinistra democratica. Don Milani è stato certamente un grande italiano e un notevole esponente del cattolicesimo democratico. Quella sua affermazione che lei cita è a ben vedere l'essenza stessa della Costituzione della Repubblica italiana. Che richiama al dialogo, al confronto per trovare se non tutti assieme almeno una larga maggioranza di opinioni e senza escludere aprioristicamente nessuno. E tanto più gravi e serie sono le difficoltà tanto maggiore deve essere la capacità di ascolto e di reciproco chiarimento tra le diverse forze. Di fronte al pericolo o all'emergenza poi è un dovere democratico e nazionale ricercare l'intesa o la sintesi unitaria.
E oggi, ancora in tempo di pandemia, ricordo quel messaggio commovente all'unità, da solo sul sagrato deserto davanti a San Pietro, che Papa Francesco ripeté più volte “Siamo tutti sulla stessa barca” riprendendo l'episodio evangelico della barca nella tempesta sul lago di Tiberiade che portava gli apostoli impauriti e sgomenti. Sulla scena politica ci sarà pure una ragione di fondo per cui il Ministro della Sanità, Roberto Speranza, non ha mai intrapreso una polemica o uno scontro aperto con singoli esponenti di alcune Regioni. Più che la polemica politica egli ha ricercato il dialogo e la sintesi unitaria tra Stato e Regioni, anche di opposto segno. A questo ci siamo ispirati anche a Spezia, quando assieme da altri, demmo vita al Manifesto per la Sanità Locale cercando l'unità più ampia. Abbiamo invitato a riunioni per un confronto tutte le forze politiche e sociali. Alcuni non li abbiamo mai visti, altri non hanno inteso aderire. La buona volontà unitaria da parte nostra c'era ed era rivolta a 360 gradi. Certo nessuno, né a destra né a sinistra, poteva chiedere a noi il “ruolo di pifferi a comando” né della Giunta Regionale di ora né di quelle precedenti. Siamo ispirati al valore del confronto e se possibile dell'intesa che accompagna al valore della nostra autonomia di pensiero critico.
Lei ha ricordato don Milani, ma don Lorenzo fu al contempo grande sacerdote e anche grande combattente per una Chiesa innovata e popolare. Il confronto, il dialogo e la possibile sintesi vanno ricercate, ma non sono tanto sprovveduto da ritenere che tutti parimenti lo vogliano. Per tornare qui e a noi, il più grande ostacolo al dialogo e al confronto è oggi questa Lega di Salvini. In Liguria è Toti e quasi tutti i suoi caudatari. Non so se e cosa diverrà in futuro la Lega, lo vedremo. Constato però che in quest'ultimo anno quel partito si sia sgonfiato molto, capiremo insieme se, alla fine di settembre, sarà ancora il primo partito della Liguria. A volte certe lezioni servono ai partiti politici per riflettere e cambiare in positivo. Ed è anche per questa via che si prepara quel futuro-bene-comune per i cittadini che verranno su cui lei mi interroga.
G.d.S. Che ruolo vedi per la nostra città all’interno della realtà ligure?
P.A.C. Certamente un ruolo dinamico e non a trazione altrui. Dovrebbe funzionare come un treno, ma in cui ogni vagone è una motrice e tutti spingono sullo stesso binario. Forse sbaglio, ma a volte ho l'impressione che taluni a Genova o nell'area centrale ligure, quando parlano di Liguria in realtà intendono solo Genova. Ritengo, qualora non sbagli, che sia una grande e dannosa stupidaggine perché la Regione nel suo lungo arco è fatta di territori con interessi, vocazioni ed aspirazioni plurali. Non divergenti, solo plurali. È riduttivo e sbagliato confondere l'intera Liguria con l'area metropolitana genovese. Quando la Regione scoprirà il valore della coesione territoriale ligure aprirà una pagina nuova e feconda per il suo avanzamento istituzionale e sociale. Ad oggi ancora non ci siamo. Ho prima ricordato le disuguaglianze offensive sulle dotazioni in Sanità, ma anche in altri settori ci si imbatte, a volte, nella stessa solfa. Ecco perché pongo al centro di un ragionamento complessivo anche il tema della coesione territoriale ligure. Il suo contrario è in diciottesimo la caricatura del sovranismo. A forza di indicare prima quello anziché quell'altro, alla fine anche il primo si trova solo in un contesto in cui nessuno si salva da solo.
Qui i link ai precedenti interventi de “Il Futuro Adesso”:
N. 1. Intervista a Filippo Lubrano
N. 2. Intervista a Lara Ghiglione
N. 3. Intervista a Enzo Papi
N. 4. Intervista a Gino Ragnetti
N. 5. Intervista a Angelo "Ciccio" Delsanto
N. 6. Intervista all'associazione "Murati Vivi"
N. 7. Intervista al Sindaco Pierluigi Peracchini
N. 8. Intervista a Roberto Alinghieri
N. 9. Intervista a Giorgio Pagano