Eppur si muove. La riflessione sulla Spezia di domani che la Gazzetta della Spezia ha voluto lanciare sta muovendo le acque. L’associazione “Murati Vivi” di Marola, che da anni si batte per migliorare la situazione del proprio borgo a cominciare da quel confine di pietra che impedisce l’accesso al mare dei suoi abitanti (oltre che sugli altri problemi legati all’ambiente presenti in quel territorio) ha voluto dire la sua e contribuire così, dall’ottica di quella borgata storica, ad alimentare il dibattito.
Lo stimolo a questo intervento (una risposta corale di tutto il direttivo dell’associazione composto dal suo presidente Lorenzo Pavoni e dai consiglieri Luca Bressan, William Domenichini, Massimo Guastini, Diego Manuguerra e Alessio Mugnaini) è stato uno degli interventi della nostra intervista, quello di Enzo Papi che, nella seconda puntata di questa inchiesta, ha detto una cosa che in città è davvero condivisa: il futuro di Spezia passa dal futuro delle scelte che si faranno su quella meravigliosa area che è l’Arsenale e che a Marola conoscono bene in quanto a limiti e difficoltà.
E così è nata questa risposta marolina al futuro di Spezia, una risposta che però non interviene solo sugli aspetti locali della borgata (che certamente ci sono perché vitali per gli abitanti di Marola) ma che si allarga anche alla riflessione sul metodo con cui pensare, costruire e realizzare una strategia di futuro per tutta la nostra città.
G.d.S. Il prossimo 28 agosto saranno passati 151 anni da quando il generale e architetto Domenico Chiodo inaugurò l’Arsenale Militare della nostra città, proprio lì a Marola. Da quel giorno cambiò radicalmente la natura e il destino di Spezia e degli spezzini. E sicuramente dei marolini. Quella che sembrava destinata a diventare una “splendida perla sul mar”, una città turistica e a vocazione terziaria, si trasformò prima in una città militare, basata sul parastato e successivamente in una città industriale legata alla difesa. Poi, negli anni Sessanta del secolo scorso, in maniera quasi casuale, si ricominciò piano piano a riconsiderare la natura turistica della nostra terra. Il risultato oggi? Una citta “mes-ciua” dove si mischiano panorami mozzafiato e oasi di una bellezza straordinaria agli insediamenti industriali e portuali, dove le attività cantieristiche di eccellenza hanno fatto fatica a conquistarsi un giusto spazio. Insomma, ma che razza di città è oggi Spezia e la sua provincia? E cosa è successo a Marola?
Murati Vivi Una sintesi stringata ma purtroppo realistica, di una città che negli ultimi decenni non si è autodeterminata, nelle scelte strategiche che avrebbero potuto segnare un futuro prospero. Nelle varie fasi storiche, la nostra città ha subito le imposizioni di chi riteneva il nostro golfo strategico, per un settore piuttosto che per un altro, lasciando però vivere la comunità di rendite a breve termine: sotto il profilo industriale delle aziende di Stato (OTO, la vecchia Termomeccanica, ecc.) che oggi sono enormemente ridimensionate e senza nessuna reale prospettiva di sviluppo (a parte qualche eccezione), alla bolla turistica che fa leva su luoghi meravigliosi, ma senza aver determinato strumenti di valorizzazione strutturale.
Questo elemento è particolarmente evidente in alcune realtà della città, come Marola, dove i 151 anni dell'Arsenale coincidono con la "pena di reclusione" che è stata comminata alla borgata marolina, emblema di una “città di mare senza mare”, con una peculiarità: se il levante è monopolizzato dall'attività portuale, se la Morin è interclusa da una delle arterie di mobilità più trafficate della città, Marola non ha il suo mare perché è lo Stato (nell'emanazione della Marina militare) che glielo preclude.
Proviamo ad agire localmente pensando globalmente: La Spezia è una città che ha delle periferie frammentarie, sconnesse, il cui tessuto urbano è disgregato a tal punto da non avere più un disegno organico, ma una “pelle di leopardo” a macchie sparse in cui si perdono tradizioni e identità, intese come peculiarità di una comunità capace di essere inclusiva ed accogliente. Una città “né carne né pesce”, dove la vocazione turistica è demandata a un selvaggio fiorire di strutture ricettive "fai-da-te", che in molti casi hanno influito enormemente ma negativamente sul tessuto sociale delle comunità, impoverendo il dna vero dei borghi e delle sue comunità, facendole divenire i rifugi di chi fugge da luoghi impossibili, senza una reale prospettiva economica.
Un dato concreto? Se una giovane coppia cerca casa a Marola e dintorni si ritrova a compiere un'impresa al limite dell'impossibile. Dall'altro si è via via depotenziata la vocazione produttiva: basti pensare a cosa fosse l'Arsenale 30 anni fa e al deserto che è oggi. Di fronte a Marola non c'è più l'Arsenale, ma un tetro corpo morente, una carcassa venefica e desertificata: le vasche di San Vito sono piene di rottami di navigli decrepiti, nei moli fronte Marola sono ormeggiate fregate in disarmo da decenni, i capannoni semivuoti davanti alle case dei marolini misurano, fonte Marina militare, 100mila metri quadri di coperture in eternit, molti dei quali in stato di degrado. E poi c'è il campo in ferro con ciò che contiene, ben descritto dalla perizia del procuratore Attinà.
G.d.S. Proviamo a immaginare il futuro adesso. Quello che vedranno i nostri figli e i nostri nipoti. Quale città gli stiamo preparando? O meglio, quale città pensate che valga la pena di preparare loro, visto dalla vostra particolare visuale di abitanti di una borgata del golfo a ridosso dell’Arsenale?
M.V. Quello che vediamo è l'assenza di visioni, di qualsivoglia tipo, in particolare sul tema del rapporto tra la città e le aree militari che sono presenti al suo interno. Basti pensare alle possibilità paventate di usare parti dell'area dell’Arsenale per lo smantellamento del vecchio naviglio, o alla possibilità, peraltro andata in fumo, di cedere l'area adiacente al porticciolo di San Vito, ma senza un disegno organico. Mancano idee e proposte serie, anzi si continua pervicacemente a portare avanti modifiche frammentarie e inutili, talvolta semplicemente costose.
Quello che proponiamo è un nuovo piano strategico della città, che abbia una visione “olistica”, globale, che riesca ad abbracciare tutti gli aspetti fondamentali della vita spezzina. Uno strumento di pianificazione redatto con un metodo innovativo, in cui la partecipazione non sia la mera comunicazione delle scelte imposte dall'alto da questo o quell'amministratore, piuttosto che dettato da interessi privati, ma sintesi di partecipazione delle molte realtà, di un ascolto vero e di un confronto chiaro con le comunità dei cittadini.
I Murati Vivi hanno proposto, anni fa, all'allora ammiraglio Toscano e all'amministrazione Federici, una visione del futuro di Marola in cui si poneva, e si pone ancora, un prerequisito fondamentale: la bonifica delle aree militari, quelle che ancora oggi sono un coacervo di veleni che incombe sulla vita della gente.
Ciò premesso, l'area prospiciente Marola avrebbe alcune vocazioni "naturali": dalle vasche di San Vito, che consentirebbero l'approdo diretto dei pescherecci con il decentramento del mercato ittico cittadino in una realtà facile da raggiungere con ogni mezzo, che consentirebbe di rivedere la mobilità verso la costa, un altro dei grandi problemi di questa realtà. Le aree a mare avrebbero la possibilità di creare una marina di Marola, un'area pubblica che potrebbe essere connessa alla città attraverso una mobilità sostenibile, luogo di continuità e che consentirebbe a tutta la città di ritornare ad avere un approccio al mare vero.
Inoltre, dovremmo concentrarci sulla valorizzazione della nostra storia, attraverso un “polo culturale del mare” che possa sorgere nell'immenso patrimonio storico che lascia l'Arsenale, dalle officine alle gallerie antiaeree. Se guardiamo all'Europa del nord, troviamo esempi virtuosi di conversione delle attività che nel corso dei decenni sono andate perdute; è del tutto evidente che si tratti solo di scelte politiche che devono partire da una riconversione sostenibile che finalmente elimini i rischi di nocività in prossimità delle case della gente.
Siamo realisti, queste proposte hanno un limite: prescindono da una classe dirigente (locale e non solo) in grado di valorizzare un bene comune, non di lasciarlo alla mercé del primo acquirente come si è visto nel goffo tentativo del masterplan della Palmaria, con la cessione onerosa di beni dello Stato agli enti locali. Occorre avere il coraggio di fare delle scelte che siano il frutto di un percorso di ascolto e di condivisione con gli spezzini, che abbia le capacità di guardare alla città tra 25-30 anni e non di fare un mero calcolo elettoralistico per la propria sopravvivenza politica.
G.d.S. Per voi, cosa c’è o cosa ci sarebbe da fare per “scaricare a terra” questa idea e non lasciare ai vostri figli solo... ”un muro”?
M.V. Se è vero che “l'unica battaglia persa è quella che non si combatte”, continueremo a fare ciò che abbiamo fatto fino ad oggi: essere sempre in prima linea nel chiedere che questa situazione cambi, perché è inaccettabile che nel 2020 una comunità che fu sconvolta dalla costruzione dell'Arsenale continui a guardare il mare dal filo spinato dell'area militare. E in mezzo i veleni!
Continueremo a coniugare la "denuncia" con la "proposta", nella speranza che la pubblica opinione si convinca che le nostre istanze non sono banali richieste localistiche di una borgata murata viva da 151 anni, ma una necessità di avere una visione strategica della città, di tutta la città. E per fare questo, per realizzare questa “visione” c’è bisogno di coraggio e c’è bisogno di cambiare il modo di lavorare e di condividere le proposte. Ma soprattutto occorre saper guardare al futuro con spirito di innovazione.
Qui i link ai precedenti interventi de “Il Futuro Adesso”:
N. 1. Intervista a Filippo Lubrano
N. 2. Intervista a Lara Ghiglione
N. 3. Intervista a Enzo Papi
N. 4. Intervista a Gino Ragnetti
N. 5. Intervista a Ciccio Delsanto