Abbiamo deciso, con questa serie di interviste e di riflessioni allargate, di inventarci un nuovo tempo verbale che sicuramente non troverete in alcuna grammatica italiana: il futuro presente. Non quello semplice oppure quello anteriore. Quello presente. Quello di oggi. Perché è oggi che dobbiamo pensare non “al” ma “il futuro”. E allora ascoltiamo anche la “declinazione” del futuro presente da parte di chi rappresenta, in provincia, la visione e le istanze di lavoratori e pensionati (a seguire ascolteremo anche le altre organizzazioni sindacali).
La parola a Lara Ghiglione, 44 anni, una laurea in Scienze dell’Amministrazione conquistata lavorando, un master in criminologia (con riguardo speciale ai reati economici e corruttivi), da quasi 3 anni segretaria generale della CGIL spezzina (è anche nel direttivo nazionale) dopo essere stata responsabile del settore scuola.
GdS. Il prossimo 28 agosto saranno passati 151 anni da quando il generale e architetto Domenico Chiodo inaugurò l’Arsenale Militare della nostra città. Da quel giorno cambiò radicalmente la natura e il destino di Spezia e degli spezzini. Quella che sembrava destinata a diventare una “splendida perla sul mar”, una città turistica e a vocazione terziaria, si trasformò prima in una città militare, basata sul parastato e successivamente in una città industriale legata alla difesa. Poi, negli anni Sessanta del secolo scorso, in maniera quasi casuale, si ricominciò piano piano a riconsiderare la natura turistica della nostra terra. Il risultato oggi? Una città “mes-ciua” dove si mischiano panorami mozzafiato e oasi di una bellezza straordinaria agli insediamenti industriali e portuali, dove le attività cantieristiche di eccellenza hanno fatto fatica a conquistarsi un giusto spazio. Insomma, ma che razza di città è oggi Spezia e la sua provincia?
Ghiglione. Un territorio e una città complessi, con potenzialità inespresse e problemi ormai endemici. Uno su tutti: l’odierna difficoltà ad attrarre investimenti che si traducano in nuova occupazione di qualità.
Lo abbiamo visto anche con la pandemia, una situazione estrema, che ha amplificato i contrasti. Abbiamo un tessuto produttivo con alcune eccellenze, come il settore nautico e quello armiero, ma anche grandi fragilità: pensiamo alle infrastrutture che rendono complicati gli spostamenti di merci e persone oppure al turismo, un settore strategico ma troppo “improvvisato”, senza un progetto complessivo di prospettiva. La drammatica situazione sanitaria ha fatto emergere una classe lavoratrice generosa, solidale e responsabile e una parte di classe dirigente non sempre all'altezza dell'emergenza e delle tante sfide odierne: è sufficiente pensare alla disastrosa gestione dell’emergenza sanitaria. La pandemia ha evidenziato la necessità che abbiamo di aprirci al mondo, di guardare oltre l'orizzonte della diga foranea. La sfida, a tutti i livelli, è e sarà globale. Provincialismi, sovranismi e particolarismi, oltre che sbagliati, si riveleranno perdenti.
GdS. Proviamo a immaginare il futuro adesso. Quello che vedranno i nostri figli e i nostri nipoti. Quale città gli stiamo preparando? O meglio, quale città tu pensi che valga la pena di preparare loro?
G. Come Cgil, con l'aiuto prezioso della Fondazione di Vittorio, stiamo elaborando un'analisi accurata della situazione economica, sociale e culturale della città, per avere le basi scientifiche sulle quali proporre un nuovo piano di sviluppo. Idee per il futuro che presenteremo a tutti gli attori della città in autunno, se la contingenza dell'epidemia ce lo permetterà. Posso anticiparti che immagino una città rifondata sui diritti di cittadinanza, sulla solidarietà, sul lavoro, sulla formazione e sulla cultura; che attragga intelligenze e investimenti da fuori e che riesca a valorizzare quelli locali. Una città sostenibile nei trasporti, nell'economia, nell'ambiente. Una città che riesca a mettere insieme innovazione e umanità, bellezza e accoglienza.
GdS. Cerca di trasformare questo “sogno” ideale in un progetto concreto su cui lavorare fin da subito. Cosa c’è o cosa ci sarebbe da fare per “scaricare a terra” questa idea?
G. Ti faccio alcuni esempi concreti sui quali è necessario lavorare da subito: il nuovo Ospedale pubblico non è più rimandabile, come non lo è una nuova organizzazione della sanità sul territorio che metta al centro la persona con le proprie esigenze. Sono poi necessarie moderne infrastrutture logistiche: vanno terminate per davvero la Variante Aurelia e la Pontremolese. Dobbiamo lavorare per il rilancio dell'economia del mare, della base navale ma, al contempo, è necessario recuperare le aree militari inutilizzate da destinare ad attività produttive, a start up tecnologiche ad attività formative e culturali. L’area Enel deve essere utilizzata per avviare progetti innovativi nell’ambito delle energie rinnovabili. Dobbiamo progettare una nuova industria turistica che sappia valorizzare il territorio e attrarre turisti, ma proteggendone le bellezze e le fragilità. Mi piacerebbe che Spezia, la mia città, potesse gareggiare in eccellenza con Barcellona e la Costa Azzurra. Per questi obiettivi serve lavoro di squadra, valorizzazione delle intelligenze e competenze locali, capacità di accogliere idee e innovazioni da fuori, sinergie con altri territori affini, vicini e lontani. C'è bisogno di visione e progettualità, non di navigare a vista per tornaconti personalistici o elettorali. Altrimenti saremo schiacciati dalla competizione globale e diventeremo sempre più marginali.
GdS. Nelle imprese, ma non solo, di fronte a un progetto si considerano “opportunità e minacce”. A tuo parere, quali sono oggi le opportunità e quali le minacce per provare a realizzare questo progetto?
G. Abbiamo un territorio unico: ambiente meraviglioso, clima mite, alte competenze in alcuni campi e capacità tecnologiche e industriali. Abbiamo il mare. Due aeroporti internazionali a meno di un'ora di auto e di treno. Dobbiamo però abituarci a pensare in grande, a portare a termine i progetti. Ad avere una tensione reale al bene comune, alla mediazione tra i diversi interessi in gioco. Provincialismo, approssimazione, pressapochismo, corporativismo sono i nostri nemici.
GdS. La politica, si dice, è l’arte del possibile. Ma è anche, come insegnava don Lorenzo Milani, è il modo per “sortire insieme dai problemi comuni”. E allora che fare per cercare, qui e ora, di costruire e raggiungere quel futuro che hai immaginato per Spezia, quel futuro-bene-comune per i cittadini che verranno?
G. Mi duole dirlo, ma la politica viene sempre più percepita dai cittadini come il luogo degli interessi personali e privatistici, della campagna elettorale permanente e della volgarizzazione del pensiero e del linguaggio. Così non si va da nessuna parte. La politica, e penso soprattutto la sinistra, deve recuperare la capacità di progettare una società diversa e migliore, di donne e uomini consapevoli, liberi, uguali. L'economia deve porsi al servizio dell'uomo e non viceversa. Dobbiamo provare a rilanciare il valore sociale dell'impresa e rompere la subalternità al pensiero unico neoliberista. Dobbiamo essere in grado di dare risposta ai bisogni dei cittadini tornando al lavoro di base nei quartieri, nei luoghi di lavoro, di studio, di socialità. Il tatticismo ha portato al disimpegno e mortificato la militanza: bisogna invertire questa tendenza. Questa pandemia è stata un fatto terribile e tragico: possiamo uscirne con uno scatto netto, ribaltando i paradigmi che l'hanno generata, combattendo lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sull'ambiente. Promuovendo la solidarietà. Altrimenti il rischio è quello di sprofondare in un baratro di disuguaglianza ed ingiustizia. Questa è la grande sfida che ci attende nei prossimi anni.
(Foto gentilmente concessa dal gruppo Facebook "Il Golfo della Spezia nel Novecento")