“Da 300 a 400 €/ton di rifiuti trattati, pari a circa 18-24 M€ per 60.000 ton/a”.
La fonte è il Piano d’ambito della Regione Liguria approvato il 6 agosto 2018. Pagina 83. Il costo previsto per il biodigestore progettato da Recos/Iren a Saliceti è di 55 milioni di euro. Più del doppio.
A Pinerolo il Polo ecologico integrato costruito nel 2003 è costato 16,6 milioni di euro, occupa 23 dipendenti e ha una capacità di 60.000 tonnellate di FORSU l’anno. A realizzarlo Acea Pinerolese, società del gruppo Iren. Metteteci pure i diciassette anni trascorsi, qualche lievitazione di prezzi, siamo vicini ai 18 milioni indicati dal Piano d’ambito. Ma lontanissimi dai 55 milioni previsti per Saliceti. Il biodigestore è fuori mercato. Chi paga? I duecentomila contribuenti spezzini.
Si parlerà anche di costi degli impianti, degli investimenti necessari per chiudere il ciclo dei rifiuti con le diverse tecnologie che la scienza mette a disposizione al convegno organizzato a Sarzana per sabato 22 febbraio alle ore 15,30 alla sala della Repubblica dal Comitato Sarzana, che botta! in collaborazione con i comitati No Biodigestore Saliceti, Acqua Bene Comune e le associazioni Italia Nostra, Legambiente e Cittadinanzattiva. Le relazioni dei docenti universitari Giuseppe Ferrari (igiene e chimica ambientale a Ferrara), Giovanni Vallini (Biotecnologie a Verona), ingegner Giuseppe Vitiello, esperto di impiantistica della depurazione e del recupero dei rifiuti si concentreranno sulle ricadute ambientali, sui rischi, sull’efficienza delle varie soluzioni e sulla loro aderenza ai criteri di sostenibilità ambientale indicati dalla Comunità Europea. Ma i costi faranno da sfondo, perché è interesse della comunità sposare la migliore tecnica, la più sicura al minor costo.
Le differenze di costi sono anche notevoli. Gli impianti di compostaggio a biocelle, come quelli che abbiamo visto a San Marino, costano meno di un quinto dell’investimento prospettato a Saliceti. Certo, non producono metano. Ma il compost che ne esce, essendo stata selezionata a monte la materia prima (l’organico depurato da residui estranei) e non essendo sottoposta a trattamenti in assenza di ossigeno si caratterizza per maggiore purezza, priva di batteri nocivi come i clostridi. Poi c’è la tecnologia che sfrutta i digestori esistenti presso i depuratori. In questo caso il costo per l’attivazione di un impianto può scendere addirittura ai 4/5 milioni di euro. Gli impatti sull’ambiente sono quelli dei depuratori dei fanghi delle fognature. Si può ottenere metano. Insomma le alternative ci sono. La scelta non è solo tecnica. E’ politica: fare l’interesse della collettività o di un grande gruppo quotato in borsa?
Comitato Sarzana, che botta!