L'eccidio di Valmozzola fu preceduto dall'assalto al treno nella stazione della stessa Valmozzola da parte dei partigiani della banda "Betti" il 12 marzo, a cui parteciparono molti spezzini, tra cui il comunista Primo Battistini "Tullio". Il treno aveva una carrozza occupata dai nazifascisti: tre prigionieri furono liberati, sette nazifascisti vennero uccisi. La reazione fu immediata e feroce, fino alla fucilazione di otto ribelli il 17 marzo. I partigiani furono catturati sul monte Barca, nel bagnonese: erano spezzini, sarzanesi, lericini, più tre prigionieri russi, evasi da un campo di concentramento.
Il capo spirituale del gruppo era Ubaldo Cheirasco, studente universitario socialista. Si era formato culturalmente, ed anche eticamente, nel Liceo Classico Costa della Spezia, autentica fucina dell'antifascismo: la scuola dove insegnarono nobili figure come Ennio Carando e Aldo Ferrari, e anche Italo Malco, che di Ubaldo era stato docente di greco. Proprio per questo era presente alla manifestazione il professor Galantini, nella veste non solo di copresidente del Comitato Unitario della Resistenza ma anche di rappresentante del Liceo Costa. Tre partigiani furono uccisi subito, gli altri otto, tra cui Cheirasco, furono uccisi a Valmozzola perché i nazifascisti volevano far credere che i partigiani del monte Barca fossero gli stessi che avevano assalito il treno. Con il terrore i nazifascisti volevano impedire che altri giovani salissero ai monti e che la gente di montagna fosse solidale con loro. Ma il risultato che ottennero fu esattamente l'opposto: tanti altri giovani diventarono partigiani.
"L'attacco al treno rappresentò -ha detto Pagano- un momento importante per il movimento patriottico, perché dimostrò che l'azione era possibile, e quindi galvanizzò i ribelli e scosse i dormienti. E i partigiani non rimasero soli: furono accolti e protetti dalla gente di montagna". "Senza la solidarietà, la partecipazione coraggiosa della gente di montagna delle valli del Vara, del Taro e del Ceno -ha aggiunto- senza i contadini, e le donne contadine in particolare, non ce l'avrebbero fatta". Ciò poté accadere "perché la Resistenza fu un grande moto popolare: tutti gli strati sociali parteciparono... non è vero che il popolo fu scoraggiato e silente, la Resistenza non fu solo armata ma anche civile e sociale".
Nel pomeriggio Giorgio Pagano ha presentato, sempre a Valmozzola, il suo libro "Eppur bisogna ardir. La Spezia partigiana 1943-1945", introdotto da Paolo Galantini. Era presente uno dei protagonisti del libro, Pietro Gnecchi "Bedonia", l'unico ancora in vita dei nove eroi della leggendaria battaglia del Lago Santo, partigiani del Battaglione "Picelli" comandato da Dante Castellucci "Facio". Pagano ha messo in evidenza il forte legame tra la Resistenza spezzina e la Resistenza parmense: spezzini e parmensi furono insieme protagonisti non solo a Valmozzola ma anche al Lago Santo, nella banda "Beretta", cattolica e moderata, dei fratelli Cacchioli che diede vita alla Brigata "Cento Croci" comandata da Federico Salvestri "Richetto" di Varese Ligure, e nella XII Brigata "Garibaldi" nata dalla crescita della banda "Betti", che liberò Bardi e diede vita alla "zona libera" del Ceno, in cui svolsero un ruolo essenziale i comunisti Paolino Ranieri "Andrea" e Flavio Bertone "Walter".
Pagano ha concluso richiamando l'eredità morale e politica della Resistenza: "Come i partigiani dobbiamo essere attori e non spettatori, scegliere la partecipazione civile e il governo democratico contro l'idea dell'ultimo ventennio, che ha portato all'uomo solo al comando e al cittadino sempre più spettatore, rassegnato e abulico".