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La Spezia prima dell’Arsenale nella carta del “Bente” In evidenza

di Anna Mori – La carta fu disegnata nel 1767 da Giuseppe Ferretto e Giacomo Brusco per la regimentazione delle acque dei torrenti e del mare.

Il nostro territorio è stato da sempre caratterizzato da una grande abbondanza d’acqua, come mostrato anche nella cartografia storica. La valle del torrente Lagora era solcata da numerosi corsi d’acqua, acque superficiali e sotteranee.  I fossi di Fabiano e di Porzano, il torrente Biassa che riceveva il Murlo, il Vappo e il Ligurzano, il torrente Colombaro che riceveva i fossi Cantarana e Borzonasca, il fosso Stagno ed il Canale dei Mulini, che, a seguito della costruzione dell’Arsenale confluirono nel canale Lagora.

Anche corsi sotterranei, che sgorgavano non solo in terra (ricordiamo la Sprugola il cui laghetto è stato rappresentato anche da Agostino Fossati) ma anche in mare (ad esempio la Polla di Cadimare).

Nel 1767 Giuseppe Ferretto e Giacomo Brusco, in occasione di alcuni lavori pubblici realizzati dalla Repubblica di Genova e in previsione di ulteriori interventi per la regimazione delle acque dei torrenti e del mare, disegnarono la carta cosiddetta del “Bente”.

Cosa rappresentava la carta del Bente? Lo abbiamo chiesto all’Ammiraglio Silvano Benedetti, ex Direttore del Museo Navale, Presidente della Pro Loco del Golfo e studioso di storia militare e locale.

La “Carta del Bente” rappresenta la parte interna del Golfo della Spezia. Molte sono le notizie che si possono ottenere da questa carta che ci offre una delle immagini più precise del territorio spezzino prima della costruzione dell’Arsenale, circa un secolo più tardi.

La carta ci racconta molte cose, spesso dimenticate nei secoli successivi e che può essere opportuno richiamare; salta subito agli occhi l’estensione della pianura e la mancanza di un porticciolo, la presenza di un’ampia spiaggia su tutto il litorale e di zone acquitrinose, la quantità di edifici religiosi campestri tra il borgo della Spezia e Marola; ma anche osservando il numero dei mulini nella piana ad Ovest del piccolo borgo murato, capiamo di trovarci di fronte ad una economia rurale prettamente agricola.

 

Ma vediamo il tutto con ordine.

Lo storico Franco Marmori, nel capitolo “La struttura urbanistica della Spezia e le sue emergenze monumentali” contenuto in “Conversazioni su La Storia della Spezia” (1982, p. 53) afferma che all’epoca il borgo murato misurava 1.450 palmi di lunghezza e 1.000 palmi di larghezza, riscontrabile anche sulla carta nautica realizzata sempre dal Ferretto nel 1769, corrispondente a circa 380 x 260 metri, e presentava sei porte verso le direttrici principali del traffico commerciale.

Porta Romana, o di S. Giovanni o di S. Agostino, si affacciava sulla via Aurelia in direzione di Migliarina e Roma ed era l’unica su questo lato delle mura, il più esposto ad un attacco dalla Toscana.

La Porta dei Sette Dolori, o della Marina, si apriva verso la spiaggia, la Casa di Sanità e il piccolo pontile dove attraccavano le poche barche che facevano da spola con i velieri all’ancora i quali, a causa dei bassi fondali, non potevano avvicinarsi alla riva.

Porta del Pallone, o del Carmine (dal nome della piazza adiacente interna alle mura), dava sulla spiaggia e sulla foce del “fosso” difensivo che passava ad ovest delle mura, una derivazione del Canale dello Stagno che passava quasi del tutto interrato sotto il borgo e sfociava sulla spiaggia.

Porta di S. Francesco, o del Fosso o di Malora, affacciava verso la Piana di S. Vito e dava accesso al bel viale alberato, ripreso nei suoi quadri anche dal Fossati qualche decennio più tardi, che conduceva al convento di S. Francesco e a Marola.

Porta del Macello, o dell’Ospedale o di Biassa o degli Angioli, si trovava appunto accanto all’ospedale sul prolungamento di Via dei Biassa che iniziava dalla cattedrale di S. Maria e conduceva fuori dalle mura alla chiesa di Nostra Signora degli Angioli e poi ai borghi di Fabiano, Pegazzano e Biassa.

Porta di Genova, o di S. Francesco, sul prolungamento di Via del Prione e dell’Aurelia, adiacente al convento di S. Bernardino, unica porta sul lato Nord-Ovest del borgo, conduceva al convento di S. Francesco di Paola e a Genova.

La direttrice del traffico commerciale era pertanto già allora ad “L”, perché la via Aurelia da Porta Romana arrivava dritta su Via del Prione dove, ai “Quattro canti”, piegava a destra verso Porta di Genova. Un tracciato ripreso un secolo più tardi dal piano regolatore della nuova città militare e industriale, con Viale Umberto I e Viale Savoia (ora Viale Italia e Viale Amendola).

Il borgo murato era difeso a Nord dal Castello di S. Giorgio e dalla Bastia, con le sue due ridotte “del Pane” e “del Cipresso”, ubicate sul “Poggio”, mentre verso Ponente un ampio fosso correva lungo le mura, raggiungibili attraverso due stretti ponti. All’epoca le artiglierie sparavano a poco più di un migliaio di metri e quindi tutto il centro abitato era ampiamente protetto dal tiro dei cannoni delle due fortificazioni.

La presenza di giardini e coltivazioni tra la spiaggia e le due porte della Marina e del Pallone suggerisce che non fossero aree soggette a frequenti allagamenti. D’altronde il golfo era naturalmente ben protetto dal mare e dal vento e l’unico caso in cui le onde del mare agitato potevano arrivare fino alla parte più interna del golfo era con vento da Sud-Sud-Est, cioè l’Ostro e l’Africo, che battono però più facilmente il Ponente ligure. Quindi raramente le onde del mare in tempesta potevano raggiungere le mura cittadine dato che le mareggiate più importanti sono conseguenti al vento di Libeccio, proveniente da Sud-Ovest, nei confronti del quale l’interno del golfo è ben ridossato.

Nella piana di S. Vito, leggermente più bassa dell’abitato spezzino, si nota invece la scritta a mano “Sito ove arriva il mare essendo in tempesta” che testimonia come le onde, in quei pochi casi in cui il mare si infilava preciso all’interno del golfo, riuscivano a risalire la bassa pianura di circa 350 metri, provocando qualche danno alle poche costruzioni presenti, quasi tutte di tipo religioso. Non tanto a S. Francesco il Grande, rialzato di qualche metro rispetto alla pianura circostante, ma piuttosto al singolare percorso mariano che si sviluppava tra le mura cittadine e l’Acquasanta su un tratto di soli 1.500 metri: Nostra Signora degli Angioli o della Porziuncola, Nostra Signora della Lagora o della Neve, Nostra Signora di Loreto, Madonna dello Starolo o della Pietà, Nostra Signora della Marina o del Porto, Madonna dei Castagni o del Pianto, Nostra Signora della Concezione, sovrastati dalla Madonna dell’Olmo sulla collina. Quasi tutti scomparsi a seguito degli espropri eseguiti dal Genio Militare per la costruzione dell’arsenale.

Sempre nella piana di S. Vito balza all’occhio l’alto numero di mulini, canali e polle, i quali danno un’idea ben precisa dell’abbondanza di acqua della zona. Vediamo ben sette mulini, quattro canali, tre polle d’acqua, il lago della Sprugola ed il cosiddetto Bente, una costruzione impiegata per la distribuzione dell’acqua dei torrenti Lagora e Biassa attraverso piccoli canali di irrigazione che la portavano ai vari campi e orti e che si trovava nei pressi dell’attuale Porta Ospedale. Il Bente appare come un’opera architettonica di un certo fascino dato che aveva uno sviluppo ricercato di forma cilindrica e costituita da due file di archi sovrapposti, come riportato nel particolare in basso a sinistra della carta. Dai tratti della mappa si capisce che venne abbattuto a seguito della regimazione delle acque del torrente Lagora, che doveva essere da poco esondato abbondantemente se aveva rovinato gli argini a tal punto da dover intervenire per modificarne il percorso.

Il numero elevato dei mulini nella piana di S. Vito caratterizza l’area agricola come molto produttiva e fertile, grazie all’abbondanza di torrenti, canali e polle, cioè le sorgive spontanee di acqua dolce che caratterizzano ancora oggi il territorio. La più famosa era senz’altro quella di Cadimare, oggi scomparsa, ma la carta si ferma prima ancora di Marola e quindi è riportata. Singolare è però la presenza di un canale detto “dei Molini” che sembra partire dalla Grande Polla di Magera, sopra Vappa, e che doveva portare una grossa quantità di acqua per alimentare ben cinque mulini, passare incanalato sotto ai torrenti Lagora e Piana Grande ed immettersi dopo oltre 1.500 metri nel Canale dello Stagnore (dello Stagno?) nei pressi delle mura (attuale Piazza del Mercato), dove viene riportata la scritta “colpo d’acqua” che forse allude ad una cascatella.

La cartografia “racconta” molte cose a chi ha la pazienza di cercarle e di “interpretarle”, non soltanto quelle più evidenti ma anche altre ottenibili attraverso la contestualizzazione e la traduzione dei segni grafici presenti, spesso riportati in legenda. E’ una caccia al tesoro, basta cambiare il punto di vista e emergono dati a prima vista invisibili!

 

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