Dopo i saluti istituzionali del Sindaco Cristina Ponzanelli, del Presidente di Regione Liguria Giovanni Toti, del Presidente della Fondazione Carispezia Andrea Corradino e della Direttrice del Festival della Mente Benedetta Marietti, la manifestazione si è aperta con la Lectio Magistralis di Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che da oltre trent’anno si occupa di cooperazione internazionale per proteggere i diritti di quanti sono costretti a fuggire da guerre, violenze e persecuzioni. Durante l’incontro Grandi ha spiegato come, ad oggi, cento milioni di rifugiati hanno lasciato i propri paesi o cercato riparo in zone più sicure, mescolandosi ai flussi che si muovono per motivi economici, demografici, politici o in cerca di una vita migliore. Spesso i rifugiati vengono respinti dai paesi più ricchi, mentre di recente milioni di persone in fuga dall’Ucraina sono state accolte in tutta Europa: un’eccezione politica o un esempio a cui ispirarci?
Ecco alcuni momenti salienti della Lectio Magistralis:
“Ci muoviamo per lavoro, per piacere, ci muovono tecnologie straordinarie. Ci muoviamo sempre di più, il digitale stesso ci mobilita. E’ un grandissimo onore aprire il Festival della Mente. Il movimento è un tema vario e immenso. Veniamo da tre anni molto difficili dovuti alla pandemia, anni in cui muoversi è stato molto più complicato per tutti noi. Ma è stato specialmente complicato per chi fugge, perché chi fugge non sceglie di muoversi, è obbligato a farlo e muoversi per chi fugge equivale spesso alla salvezza. Durante la pandemia il movimento era diventato una minaccia per tutti, da qui vorrei partire, da quelli che sono costretti a muoversi in un mondo che chiede il loro movimento, per questo ho intitolato questo intervento ‘Il movimento degli ultimi’ e mi piace che siano i primi di cui si parla in questo Festival”.
“Si può parlare di un dilemma esistenziale: muoversi oppure no? Un dilemma che ha evidenziato le differenze sociali, soprattutto nel periodo pandemico in cui i paesi ricchi hanno potuto chiudere per evitare gli spostamenti, hanno chiuso le frontiere. Ma i paesi poveri, con confini più fragili e sensibilità diverse, non hanno potuto fare questa scelta. Ho scelto questa prospettiva degli ultimi e del dilemma perché in un certo senso riassume il problema dal punto di vista del movimento di chi fugge. Oggi nel mondo 100 milioni di persone hanno dovuto fuggire, erano 71 milioni nel 2019 quando sono venuto qui a Sarzana. Fuggire per salvarsi è una realtà vasta e questi movimenti sono una delle grandi sfide planetarie, insieme al clima, alla povertà, alle pandemie. Al cuore del problema stanno i movimenti di chi non sceglie, di chi rischia la vita se non fugge, ma rischia anche se fugge, rischia discriminazioni”.
“Osserviamolo da alcuni punti di vista. Il primo tema è la complessità dei movimenti. Chi fugge appartiene ad una dinamica vasta, i 100 milioni di persone che fuggono, scappano essenzialmente da guerre, discriminazioni, violenze, persecuzioni. Ma i motivi di fuga si incrociano con altre cause economiche, climatiche, demografiche, persino legate alla pandemia e alla salute. E’ una complessità che rende tutto più difficile, le definizioni, i criteri, le risposte”.
“C’è un secondo punto di vista, in questa complessità di cause, le guerre e le violazioni dei diritti restano i moventi primari e aiutano a definire chi sono i rifugiati. 13 milioni sui 100 milioni sono Ucraini e da cosa fuggono lo sappiamo tutti, i bombardamenti russi, l’occupazione, i soprusi nelle loro città e comunità. Riflettendo su questi flussi, noi europei, abituati alla stabilità, stiamo assistendo in Europa allo spettacolo della nostra stessa fragilità riflessa in queste persone in fuga. Mai, neanche nelle guerre balcaniche, avevamo visto cosi da vicino chi fugge dalla guerra. Questa immagine ci deve ricordare che assistiamo all’ennesimo esempio della crisi della pace e delle divisioni che attraversano il mondo in modo più sottile. Sono divisioni che minacciano l’unità delle nazioni, oggi in pericolo e dobbiamo essere preoccupati e il movimento degli ultimi è uno dei sintomi più gravi di questa crisi. Una crisi che certo può essere risolta con negoziati e compromessi, ma sempre nell’unità delle nazioni”.
“Un terzo dei cento milioni di cui ho parlato si trova in Africa, dove ci sono 4 o 5 bacini di crisi ed esilio: il Corno d’Africa, il SAEL, la regione al nord della Nigeria, la regione dei Grandi Laghi dell’Africa Centrale. Ovunque conflitti interni ed esterni strettamente collegati a situazioni di malgoverno, di violazione dei diritti umani e di sottosviluppo che creano spazio per fenomeni di terrorismo violentissimi”.
“Entrando nella complessità delle cause, voglio proporre un terzo punto di vista: il movimento creato dall’emergenza climatica, una tematica più complicata di quanto pensiamo e legata a scenari particolari. Pensiamo ad esempio al Pakistan, dove un terzo del paese si trova sott’acqua. Oggi in Pakistan quasi un milione di persone sono sfollate altrove lontane dalle proprie case. Non è necessario chiamarli rifugiati, ma sono persone che meritano appoggio ed attenzione. Ma le situazioni più complesse sono quelle in cui il clima interagisce con altri fattori: alcuni mesi fa in primavera sono stato nel nord del Camerun, la regione del Lago Ciad, un immenso bacino di acqua dolce che da anni si sta seccando e ne è rimasto ben poco di quel mare che era un tempo. Quindi i coltivatori stanno scavando fosse per raccogliere la poca acqua che è rimasta. Dalla scarsità d’acqua si arriva a un conflitto tra comunità con migliaia di morti, villaggi distrutti e decine di migliaia di rifugiati nei paesi vicini. Sono ferite profonde difficili da sanare. Non so se queste persone si possano considerare rifugiati climatici”.
“Un quarto punto di vista di cui vorrei parlare è quello delle disparità e delle disuguaglianze. Queste rendono i flussi più difficili da definire. Disuguaglianze sia economiche che democratiche tra nord e sud del mondo, dividono queste due parti del mondo ma le rendono anche interdipendenti e i movimenti delle persone in fuga lo evidenziano. Entriamo poi nel dibattito se dobbiamo considerare queste persone migranti o rifugiati, la risposta a mio avviso sta nella comprensione delle cause complesse alla base di questi movimenti. E che povertà e conflitti si intersecano e muovono le popolazioni. La diseguaglianza è un tema su cui dovremmo riflettere molto e a mio avviso, sempre nell’ambito del dibattito tra rifugiati e migranti, dovremmo regolare meglio anche le migrazioni economiche, in modo che l’asilo non sia il solo canale di supporto alle persone che si muovono, e anche investire di più nell’integrazione delle persone che si muovono, che siano migranti o rifugiati. Ci sono modelli molto buoni, il tedesco e il canadese, ad esempio. Investire di più nell’integrazione evita la disintegrazione che come vediamo quotidianamente nelle nostre strade e nelle nostre piazze, riverbera negativamente su tutti e facilita quella stigmatizzazione dell’accoglienza che vediamo. Per questo le Nazioni Unite hanno adottato due patti, uno sui migranti e uno sui rifugiati, due patti che sono complementari e che contengono pacchetti di soluzioni pratiche e utili e che spesso non vengono considerate. Per questo la Commissione Europea ha abbozzato un patto sulla migrazione e l’asilo in Europa che a tutt’oggi è la sola proposta concreta sul tavolo dell’Unione. Credo che sia una proposta di seria discussione”.
“Questo mi porta all’ultimo punto di vista: come rispondere al movimento degli ultimi? Come rispondere a questo movimento sociale che se gli si risponde male degenera e causa danni sociali e politici che conosciamo bene, oltre a perdite drammatiche di vite nei deserti e nei mari. La lezione dell’Ucraina in questo senso è molto utile: in poche settimane in Europa sono arrivati milioni di Ucraini. Noi calcoliamo che ad oggi ne sono arrivati 7 milioni nei paesi attorno all’Ucraina ed oltre. L’Unione Europea ha dichiarato la protezione temporanea per tutti gli Ucraini, una norma del 2001 che non è mai stata applicata prima d’ora. La norma consente il movimento nei paesi Schengen e in altri paesi che si sono aggiunti e l’accesso al lavoro e ai servizi. Questa decisione, approvata dall’opinione pubblica, in questi giorni ha smentito tante affermazioni che abbiamo sentito in questi anni. Ad esempio quella sul fatto che l’Europa è piena e non può più accogliere: in questo caso ne ha accolti 7 milioni in pochi giorni. Anche ad esempio l’affermazione che i flussi bisogna controllarli e contenerli: la protezione temporanea fondata sulla libertà di movimento e di inclusione ha invece alleggerito la pressione sui governi europei. L’affermazione sul fatto che in Europa il ricollocamenti sono impossibili: la protezione temporanea ha instaurato un meccanismo di auto-collocamento, non solo più ragionevole, ma ha reso l’inclusione più facile. Questa retorica dell’impossibilità è stata smentita dalla risposta data in modo esemplare alla crisi ucraina. Ora non dobbiamo essere semplicistici perché il flusso degli Ucraini è stato reso più semplice da molti fattori, da questa valenza politica, dalla forte simpatia per l’Ucraina, dalla prossimità geografica e culturale, dalla consapevolezza che molte di queste persone sono qui temporaneamente e poi vorranno tornare nel loro paese e che sono soprattutto donne e bambini”.
“Mi scandalizza l’affermazione secondo cui gli Ucraini sono veri rifugiati e gli altri no. Mi scandalizzano le legislazioni restrittive, l’esportazione della pratica dell’asilo al di fuori dei confini, i blocchi navali, i restringimenti, questo a mio avviso si tratta di razzismo. Abbiamo il dovere legare di accogliere chi si muove e di trattarlo secondo norme e principi e con umanità. L’accoglienza giusta ed efficace è possibile ed abbiamo modelli e strumenti e risorse per farlo se le usiamo bene. L’esperienza Ucraina insegna che è possibile materialmente farlo e che fondare l’accoglienza sui principi è anche in realtà più efficiente. L’opinione pubblica se è bene informata dai media, dai politici, capisce, accetta e partecipa. Nel caso degli Ucraini abbiamo visto tutti le bombe russe e che chi fuggiva lo faceva per necessità. Non vediamo immagini di altre zone del mondo. Dobbiamo lavorare insieme per affrontare questa e le altre sfide globali che ci attendono e trovare soluzioni nel diritto e nel buonsenso che spesso coincidono. Ricordiamoci che il movimento degli ultimi è una sfida globale e che può essere affrontata solo se si agisce globalmente e si riconosce la complessità che sta dietro a questo movimento, con spirito costruttivo. Le sfide globali sono vicinissime a noi e possono sconvolgere rapidamente la nostra vita di tutti i giorni più di quanto pensiamo. Gli ultimi, costretti a muoversi, a volte temuti e respinti, sono persone come noi. Senza sincera empatia, ogni risposta è destinata a fallire”.