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Quando si parlava sprugolino: viaggio nel nostro dialetto. 3) Toglieteci tutto... ma non le vocali: aiei i ea èio, aoa i è èio e àia In evidenza

di Pier Giorgio Cavallini – Siamo così arrivati alla terza puntata del viaggio dentro al dialetto spezzino, accompagnati dalla nostra guida d’eccezione, studioso e dialettologo d’eccellenza. Alla scoperta di mille curiosità. Quando lo “sprugolino” era la lingua ufficiale dei filobus della “Fitram”

“Toglieteci tutto ma non le nostre vocali...” potremmo dire - riecheggiando una pubblicità di qualche anno fa - per chiosare questo unicum linguistico. Unicum perché si tratta - fino a prova contraria - dell'unica frase di senso compiuto in tutte le lingue del mondo formata da sole vocali. L'antefatto è noto: un pescatore chiede ad un altro pescatore quali sono le condizioni del mare, e gli viene risposto che ieri (aiei) il mare era (i ea) liscio come l'olio (èio) mentre adesso (aoa) è (i è) pur sempre liscio come l'olio (èio), ma c'è anche (e) un po' di brezza (àia), letteramente "aria".

In realtà la brezza da noi, e in Liguria in genere, si chiama vazìa (la "z" in spezzino ha il suono della "s" sonora, come nell'italiano "rosa"), una parola che ancor oggi ci cela la sua origine etimologica. Neppure sappiamo se si tratti di avazìa o di vazìa, per via del fenomeno della discrezione dell'articolo, che avviene quando la vocale iniziale di una parola viene considerata dal parlante dialettale un articolo, e quindi scorporata. Fenomeno opposto alla concrezione dell'articolo, che si ha quando davanti ad una parola viene aggiunta (agglutinata) una vocale, che sarebbe in realtà l'articolo, non riconosciuto dal parlante come tale. Come avviene, ad esempio, con la parola "radio", che per noi è aràdio (l'aràdio) e che, in virtù di quell' "o" finale, è considerata di genere maschile (in grammatica, per ora, i generi esistono ancóra, anche se dovremo ripristinare il classico neutro latino.

E allora io caldeggio anche la reintroduzione del duale!). Di conseguenza, una radiolina per noi sarà 'n aradieto. Ricordo che il suffisso diminutivo spezzino predominante è eto anziché ino, che si riverbera anche nella variante locale dell'italiano, tant'è vero che noi non mangiamo "panini" ma paneti, non abbiamo bambini ma fanteti (che nel "nostro" italiano locale sono rispettivamente panet(t)i e bimbet(t)i) e via dicendo. Un fulgido esempio di discrezione dell'articolo si sentiva risonare diversi anni fa a Varese Ligure quando si nominava il gestore dell'Albergo Posta, Bancomina Ulisse, nel cui nome la "u" iniziale veniva considerata articolo: u Lisse.

Diversamente dallo spezzino, che usa l'articolo solo davanti ai nomi femminili (a Maìa ma Màio), in Alta Val di Vara anche il nome maschile è preceduto dall'articolo, come nell'Italia settentrionale in generale. E sempre dagli stessi luoghi citerò un altro esempio di concrezione, l'amé "il miele", di genere femminile, continuazione del neutro latino mel: la mel > l'amé. In spezzino il miele è maschile: er meo, che vuol dire anche "il mio". Ma di omografi, omofoni, falsi amici e doppi sensi torneremo in un'altra puntata di questa rubrica. Sempre in tema di "discrezione", aggiungerò che la nonna Irma aveva come amica una certa Rissa, che all'anagrafe faceva "Larissa", ed ho conosciuto anche un certo Chile, ovvero "Achille", dal cui nome era stata scorporata la "a" iniziale, con una sorta di discrezione della preposizione: a ghe l'ho 'ito a Achile > a ghe l'ho 'ito a Chile.


Tornando alla nostra sequela di vocali, osserveremo che la stessa è figlia della caduta (o dileguo) delle consonanti intervocaliche "l" ed "r", caduta che, diversamente, ad esempio, dal genovese, non dà luogo a fusioni di suoni, per cui da noi le sillabe si mantengono intatte. Abbiamo il dileguo della "r" in aiei (ad heri), ea (era), aoa (ad hora) e àia (aera), e di "l" in èio (oleum). Come si vede, completano la serie di vocali dello scioglilingua, rispetto all'italiano, le "a" iniziali di aiei e aoa e il pronome i. Nello spezzino "moderno" aoa non si dice quasi più, essendo l'avverbio temporale stato sostituito dalla forma lunigianese adè, che per i puristi spezzini è (forse sarebbe meglio dire "era") una staffilata al cuore. Nel dialetto più antico era - e in altri dialetti della zona è - in uso la forma adèssa, la cui "a" finale ci avvisa chiaramente che l'etimologia del termine è ad ipsa hora.


Sento già qualcuno dei miei venticinque lettori (o sono meno di quelli che per sé auspicava il Manzoni?) dire che in virtù di quell'aiei, che ricorda lo spagnolo ayer, lo spezzino deriva dal castigliano. C'è chi dice che deriva dal francese, chi dal portoghese e chi dal veneto e chi, salomonicamente, dice che deriva un po' da tutte quelle lingue, e per non farsi mancare nulla ci mette anche il cinese. Ma niente da fare, lo spezzino, come tutte le lingue e i dialetti romanzi (neolatini) deriva dal latino medievale, continuatore del latino parlato (volgare) portato dalle legioni romane durante le conquiste (superstrato) e fusosi con le lingue locali (sostrato).

A proposito della pretesa origine cinese dello spezzino, e lo dico perché ci può sempre essere qualche intelligentone che ci crede davvero, è solo una barzelletta, che fa riferimento alla domanda dell'autista della Fitram, l'odierna ATC (ma per noi sempre la Filtràm) al passeggero: Te chini chi o te chini ciü 'n la? ("Scendi qui o alla prossima?"). E per chiudere in bellezza questa cineseria, quando lo Spezia annaspava nella zona bassa classifica della Serie D, correva voce che avesse affidato la squadra ad un allenatore cinese: Mai Ciüncì.
Ma sentiamo cos'ha da dirci Ubaldo Mazzini a proposito di aoa e aloa.

Aloa e aoa
Quand'a éimo trèi gati de spezin
Ciü lüizi che quei de Rimazoe,
E a Spèza l'ea tegnǜ pe' 'n cagadoe,
E e sèrve i ne portavo 'r capelin;
Quand'aa sea ne ziava de signoe
A cacia d'üfissiali e de lechin;
Quando s'andava ao trìdoo e ae quaant'oe,
E a rèze 'r Cristo e l'asta ar bardachin;
Quand'andàimo 'nt'er prado dea maina
A mete ai fis-ci a guàrdia nassionale,
Di quelo che te vè, sàngue de dina!
L'ea n'àotra Spèza, serv'assè, Pasquale.
- Ma aloa te ne gh'andavi ògni matina,
Per no fae gnente, drento al'arsenale!

E qui non posso non rilevare come, con l'Arsenale appena costruito, già circolasse la voce che là drento nessuno lavorava. L'Arsenale veniva chiamato anche a Dàrsena e più familiarmente er Gagion, e quando la fiumana delle maestranze arsenalotte fuorusciva la sera daa Pòrte Sprǜgoa si diceva in giro i han 'ravèrto 'r gagion, un'espressione che ha assunto anche il valore di modo di dire slegato dall'ambiente originale, a sottolineare la presenza di qualche tipo strano nelle vicinanze. E francamente mi dà fastidio il nostro Arsenale sentirlo chiamare oggi "Base navale". Interpreta bene il "sentimento" degli spezzini nei confronti dell'Arsenale il poeta Tino Barsotti, ottimo autore di componimenti in spezzino, in graziotto e in italiano, scomparso nel 1993, nella poesia

L'Arsenale
L'Arsenale dea Spèza, miga bale!,
che da sent'ani e passa i fa servìssio,
i è sta ideà da 'n òmo de giüdìssio
e i è famoso en canpo nassionale.
Paa che 'n giorno, d'ensima ai Scapüssin,
la sia passà daveo Napoleon
ch'i fe: "Mié 'n pò che pòsti, sacranon!
Mia faghe l'Arsenale a 'sti Spezin!"
Tenpo dopo, trovàndosse a passae
en Generale drito, en sèrto Ciòdo,
i diza: "Femo e còse pròpio a mòdo,
vedemo 'n pò da donde 'ncomensae".

E cossì, dito e fato, i han prensipià
a scavae, fae bassì, scali, banchine,
a fae ponti girevoli, ofissine,
pòi strade, giardineti e tante ca.
Ensoma l'Arsenale i è 'na Sità:
s'i ne ghe füsse, a Spèza la podeai
èsse ciü grande e 'nfina, caso mai,
'rivae da Migiaina a Cadamà.
En Arsenale te te pè trovae
bancaà, massacan, bòcia, margon,
tüti sudà per cresse a prodüssion,
tüti 'npegnà co' e cofe a camalae.
La gh'è trèi òmi con na spassedoa
per spassae quatro tòchi de bricheto,
la gh'en è doze a strassinae 'n careto,
la gh'en è sète per portae na tòa.
Pensae che i malignosi de natüa
ch'i gh'han dee brüte léngoe da bagasse
i dizo: "I vano li per zinzinasse,
li 'ndrento i vano pe' 'a vilegiatüa".
Mie 'n pò se l'è 'a manea de straparlae
del'Arsenale! Eibò! Che brüti mòdi!
Manco i füsse 'r paese der Bengòdi!
Come se li i s'andasso a demoae!
Se Ciòdo i s'afaciasse dar canao
me a penso 'nvece ch'i saai contento
e ch'i diai: "Che bèo divertimento!
Sté atenti, fanti, de ne fave mao!".

Ma la "l" ha combinato anche altri guai nel dialetto spezzino, segno evidente che i nostri avi, per qualche loro motivo, non la potevano proprio sopportare o, detto in spezzino, conpatie!. Ed ecco allora che quando si trova davanti ad un'altra consonante (si dice, in posizione preconsonantica), la "l" comincia a fare le bizze e se ne vuole andare, in alcuni casi non senza prima aver lasciato traccia di sé. Così abbiamo mao, canao, àoto (àuto nella grafia e, chissà, forse anche nella pronuncia, più antiche), càodo, maòto etc. etc., e quando proprio non se ne può andar via, si trasforma in "r", come in farco ("falco"), quarcò ("qualcosa") etc..

La confluenza, nello iato finale ao, del suffisso ale (canao) e degli esiti della caduta della "r" intervocalica della sillaba finale, come in cao ("caro") e mainao ("marinaro"), doveva parere ben strana alle orecchie forèste, tant'è che fu coniato il seguente blasone popolare: me frè mainao i è caì 'nt'er canao e i ne s'è fato manco mao, che, tradotto, suona così: "mio fratello marinaio è caduto nel canale e non si è fatto nemmeno male".


Guardate un po' nella parola frè fr[at]e[llum], quanta roba è cauta. Per arrivare al nostro frè dobbiamo tuttavia presupporre che anche in spezzino si dicesse anticamente fradèl come nei dialetti lunigiani, e che poi i nostri avi, smaniosi come sempre di levar consonanti di mezzo, si siano liberati negli anni della "l" finale e della "d" intervocalica, lasciando uno striminzito fraè che, essendo per loro ancor troppo, è stato ulteriormente semplificato in frè. Questa considerazione porta acqua al mulino di chi - come me - sostiene che lo spezzino fosse originariamente, ed in parte è ancóra, un dialetto di tipo lunigiano, sul quale si è poi sovrapposto un superstrato genovese, e che in tutto il territorio della Lunigiana storica si parlassero dialetti lunigiani.
L'esito del suffisso ale è uno dei tratti che distinguono nettamente l'esito spezzino canao da quello dei dialetti orientali e occidentali del Golfo, che hanno rispettivamente ae e à, come nel lericino, nel santerenzino e nel tellarino canae e nel marolino, cadamoto, graziotto e portovenerese canà.


Sui corsi d'acqua della Spezia rimando a quanto ha scritto nel suo ponderoso volume Ottocento. Quando Spèza divenne Spezia l'amico Gino Ragnetti, che mi fa da anfitrione in questa rubrica, e al quale mi lega una reciproca stima. Mi limito a ricordare ai più distratti che il canale che scorre lungo Viale Savoia (oggi Amendola) non si chiama "lo Sprugola", ma "il Lagora", e che la Sprugola è una delle sorgenti sottomarine che sgorgavano nella zona dove sono stati costruiti i bacini di carenaggio dell'Arsenale, mentre in via Colombo ha continuato a far danni lo Sprugolotto, che si è praticamente rimangiato un edificio che aveva osato posarsi sopra di lui. Su questa sorgente Ubaldo Mazzini scrisse una celebre cansoneta de Carlevà, che ironizzava sul fatto che gli amministratori dell'epoca volessero sfruttarla come fonte d'acqua potabile per la città:

A canson do sprügoòto
o sia
e gente che ronpa e coge a l'àigoa.
Cansoneta abretio p'er Carlevà del'ano 1895
Fòrsa, fanti! daghe, dai!
Deghe drento a che ciü pè!
I è a sorgente di dinai
Questo foo ch'a trapané!
Pin, pon, pa!
I è a fortüna dea sità.
Prèsto prèsto a vedeemo
Vegnie fèa na gran fontana,
E ciü fito ch'a faemo,
La vè esse tanta mana!
Pon, pa, pin!
L' è a fortüna di Spezin.
Con quest'àigoa a 'lagheemo
Tüte e strade e tüte e ca,
E chi sa che ragia a femo
A quei la dea Società!
Pin, pa, pon!
L' è a fortüna dea nassion.
E chi sa che gran onoe
Con quest'àigoa i se faà
Quela sima d'assessoe,
Ch'i è sta lü che l'ha 'nventà!
Pin, pon, pa!
A 'r vedeemo decorà
O d'argento o de papeo
Na crozeta la saà
Per me figio l'anzegneo,
Ch'i è sta lü ch'i ha sorvegià.
Pon, pa, pin!
I 'r faan come Capelin.
E Tusati, l'assistente,
O stipéndio i aveà 'ümentà;
I sta a vede e i ne fa gnente,
L'è 'nzà 'n pèsso ch'i se sa.
Pin, pa, pon!
Che cücagna, 'angue de non.
Fòrsa, fanti, ch'a ghe semo!
Anca quarche corpetin,
E a momenti a troveemo
A gran cava di quatrin!
Pin, pon, pa!
Che fortüna pe' a sità!
Trenta mètri e ciü abondanti
A l'avemo 'nzà enficà,
La gh'en vè anca aotretanti,
Pòi quarcò la sortià.
Pon, pa pin!
Anca quarche corpetin.
Pica e dai, e dai e pica,
L'è 'nzà 'n mese che se da,
E per quanto i se gh'anfica
Ne ven gnente fèa, 'n veità!
Pin, pa, pon!
Fòrsa, aa fin la vegnià 'r bon.
Ponpa, süga, spinza e sfonda,
Sortià quarcò aa fin!
Ma per quanto i se sprefonda
N'en ven fèa manco 'n gossin!
Pon, pin, pa!
Cos'i dizo pe' a sità?
Siti! ... siti ...! atenti fanti,
Che quarcò la s'è trovà!
Fòrsa, presto! avanti, avanti!
Mila chi l'ümidità!
Pon, pa, pin!
Vegnì a védela, Spezin.
Oh, che gròssa carognada
Che s' è fato, cai Spezin!
La paa tüta na pissada
D'en fanteto picenin!
Pin, pa, pon!
Che fegüa da belinon!

Per un'esegesi completa di questo testo, e di tutti i componimenti in versi di Ubalzo Mazzini, i lettori interessati dovranno aspettare ancóra un po', quando verrà finalmente dato alle stampe un tomo di oltre 600 pagine contenente tutte le poesie del Nostro, al quale sto lavorando da tempo immemorabile con l'amico Alberto Scaramuccia.

Questo i link delle due puntate precedenti della nostra rubrica:

Quando si parlava sprugolino 1)
Quando si parlava sprugolino 2)

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