Cinquant’anni fa, il 10 dicembre 1968, gli studenti dell’Itis Capellini occuparono la scuola. Nei giorni successivi furono occupate tutte le scuole spezzine e sarzanesi, tranne il Liceo Scientifico Pacinotti. La zona tra Spezia, Livorno e Firenze, con il 50% delle scuole occupate, fu l’epicentro delle lotte studentesche in Italia, iniziate con l’occupazione, il 5 dicembre, del Chimico di Carrara. In precedenza c’erano stati molti fermenti: nel dicembre ’67 in molte scuole, nel febbraio ’68 proprio al Pacinotti e nelle scuole sarzanesi, nel marzo al Da Passano (Ragioneria), a ottobre al Liceo Classico Costa... Le testimonianze e i documenti che sto raccogliendo insieme a Maria Cristina Mirabello per una ricerca sul ’68-’69 a Spezia raccontano i motivi della ribellione. In un volantino dell’8 gennaio ’68 gli studenti del Cardarelli (Geometri) scrivono: “Se è vero che la scuola deve essere qualcosa di vivo, essa deve vivere per gli alunni e quindi devono essere gli alunni a contribuire a darle un particolare aspetto, a migliorarla, a servirsi di lei, a servire lei”. Era il segno di una voglia di partecipare che sarebbe diventata prorompente nel giro di pochi mesi.
In un volantino firmato “Gli studenti occupanti del Da Passano” si spiega che in quei giorni di dicembre si sta dando vita a una vera scuola a tempo pieno, con metodi didattici nuovi, come il colloquio a piccoli gruppi al posto dell’interrogazione, e nuovi contenuti, legati alla realtà attuale: “Da una scuola di tipo tradizionale autoritario si è passati a una scuola comunità, in cui l’egoismo della scuola attuale veniva nei fatti superato... La mensa ha operato definitivamente questa trasformazione; siamo diventati tutti amici e questa è la cosa che ci interessava”.
Dappertutto il momento chiave fu l’assemblea: il luogo delle decisioni e delle indecisioni, dei proclami e dei sogni, della parola data a tutti, e anche dei primi “leader” e di un po’ di verbosità.
Fu una “rivoluzione” culturale e sociale. C’era un’atmosfera che consentiva a giovani che non si erano mai conosciuti di stare sempre insieme, perfino alla notte: un’esperienza esaltante, che consentì anche ai più piccoli -io avevo 14 anni- di entrare in contatto con ragazzi più grandi, più maturi, colti e “preparati”, come si usava dire allora. Presto conoscemmo anche gli operai: il ’68 a Spezia fu operaio quasi subito. Gli operai furono poi protagonisti nel ’69. Ed è nell’intreccio indissolubile tra lotte studentesche e operaie e tra ’68 e ’69 che consiste la peculiarità del ’68 spezzino (e italiano) rispetto al resto del mondo.
Dopo pochi giorni gli studenti disoccuparono. Le forze dell’ordine erano pronte a intervenire, al Classico e a Ragioneria bisognava lasciar libera la sede per poter effettuare un concorso... Dappertutto i Presidi e i docenti presero qualche impegno, così il Ministero della Pubblica Istruzione. La riforma della scuola non fu varata, nonostante le promesse, ma certamente una breccia si aprì. Vennero poste le basi per molti cambiamenti futuri nel segno della libertà e della solidarietà, nelle scuole, nelle fabbriche e in tutta la società.
Oggi né gli operai né gli studenti sono protagonisti. Del ’68, ha scritto lo storico Paolo Pombeni, non resta molto, oltre lo slogan che lo ha consegnato alla storia e che indica la volontà di non arrendersi: “Ce n’est qu un deboit, continuons le combat”. Quel “non molto” però non è poco. C’è una lotta da continuare per rendere la società più libera e solidale, un lavoro lungo che la generazione del ’68 ha avviato solo in parte. Tocca ancora ai giovani continuare la lotta.
Giorgio Pagano
Presidente dell’Associazione Culturale Mediterraneo