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Don Giulio, come nasce un prete straordinario In evidenza

di Manuela Vanoli - La storia di don Giulio Mignani, il parroco di Bonassola che ancora una volta è salito alla ribalta della cronaca per essersi rifiutato di benedire le palme

Prendi un ragazzo, dagli amore, istruzione, una moto di grossa cilindrata, un’automobile fuoristrada all’ultimo grido, una barca a vela, alcune paia di sci, un posto in banca che gli assicurerà una carriera importante. Un giorno quel ragazzo che credi di adorare torna a casa e ti affronta: “Mamma, questa non è la mia vita, non sono soddisfatto. Voglio vendere tutti i miei beni e dedicarmi agli altri. Farò il prete”.

Comincia così, alla Spezia, la storia di don Giulio Mignani, il parroco di Bonassola che ancora una volta è salito alla ribalta della cronaca per essersi rifiutato di benedire le palme, fin tanto che la Chiesa non benedirà le unioni fra persone omosessuali.

Madre di ogni conoscenza, la storia svela sempre il significato dei comportamenti umani. Non solo la grande storia scritta nei libri, anche quella individuale che ha comunque un inizio, un mezzo, una fine.
Giulio nasce qui, in una piccola città di provincia che non impedisce alla sua famiglia di emergere per serietà, riservatezza, ma anche grandi meriti scientifici. Suo padre è il professor Ermenegildo Mignani, primario del reparto Malattie Infettive presso l’ospedale Sant’Andrea, fondatore del primo reparto italiano per la cura dell’Aids, autore di innumerevoli pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali. La mamma si chiama Mari, è una donna intelligente e generosa che non esita a stare sempre un passo indietro per favorire il lavoro del marito e la crescita dei suoi ragazzi, due maschi impegnativi.

Siamo già negli anni Ottanta quando il mondo scopre l’Aids, noto alla scienza da tempo. Alla Spezia, come altrove, cominciano a morire tossicodipendenti ed omosessuali. Il primo tragico decesso è quello di una ragazza il cui cadavere viene seppellito di notte. Il secondo è di una trans che, in agonia, aveva chiesto di essere portata in chiesa. Il funerale viene celebrato, ma alla funzione partecipano soltanto due persone: il prete e il giornalista Franco Carrozza che torna in redazione visibilmente commosso, lui che è il re della cronaca nera e nella sua vita ha visto di tutto.

Tocca a Ermenegildo Mignani invitare la popolazione a non stigmatizzare i malati di Aids, ma l’impresa non è facile. Il professore, allora, decide di parlare alle persone più intelligenti, quelle che hanno meno pregiudizi: i bambini. Parte una campagna di sensibilizzazione nelle scuole, si proietta un cortometraggio realizzato da Gianni Ianelli con disegni dell’artista Maura Iasoni. Il metodo funziona e viene esportato in tutta Italia.
Giulio intanto cresce e alla sera, quando è a tavola, ascolta il papà che racconta la sua giornata faticosa, di come abbia assistito i ricoverati e di alcune coppie omosessuali che si vergognano ad andare in ambulatorio e chiedono di essere assistite a domicilio. Tutti hanno il diritto di vivere secondo il proprio orientamento, gli spiega il professore, e la malattia non è mai una colpa. Ermenegildo, che gli amici chiamano semplicemente Gildo, fa scuola anche a noi giornalisti, ci insegna a scrivere in modo corretto e ci invita a frequentare il reparto anti-Aids senza paura.

Troverò la stessa umanità in questo luminare tanti anni dopo, quando sarò io ad invitarlo in carcere dai miei alunni per una lezione magistrale, davvero magistrale, di medicina e di vita.
Ma torniamo a Giulio, don Giulio. Poteva essere un prete qualsiasi? Un baciapile cieco e sordo ai bisogni della vita reale? Certo che no. Formatosi nella Chiesa francese, dove i preti vestono sempre in borghese e sono avanti anni luce rispetto ai nostri, era partito alla grande come segretario del vescovo. Intemperante alle regole, credo si dica così, è stato dato al popolo delle parrocchie minori e ovunque è stato amato. Oggi Bonassola lo protegge dall’assalto dei cronisti. Lo protegge e lo difende.

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