in particolare con la Direttiva 29 giugno 2000 n. 35 e la Direttiva 16 febbraio 2011 n. 7, che disciplinano in sede sovranazionale la materia dei termini di pagamento.
Dette norme, nel fissare termini generali di pagamento per le transazioni commerciali dei prodotti agroalimentari, riconoscono comunque alle parti la possibilità di derogare negozialmente tali termini: in ambito europeo è dunque riconosciuto che l'autonomia imprenditoriale possa esercitarsi anche prevedendo termini di adempimento più lunghi, per favorire la dinamica degli scambi e mettere in concorrenza fornitori ed appaltatori.
Ulteriore censura sollevata da FIPE Confcommercio nella propria denuncia è la violazione di alcuni dei principi cardine del Trattato; che, quale fonte primaria dell'ordinamento europeo, stabilisce i principi generali cui devono conformarsi le legislazioni degli Stati membri, principi rintracciabili anche nella Costituzione italiana: massima concorrenza, libertà contrattuale e libertà di impresa. L'art. 62 viola detti canoni costituzionali, in quanto, imponendo esso stesso un termine inderogabile per il pagamento, restringe la facoltà di contrattare per le parti eliminando dalla negoziazione uno dei suoi elementi principali: la scelta del termine per l'adempimento.
"La norma italiana dichiara il Direttore provinciale Confcommercio Roberto Martini si pone in netto contrasto con tutte le norme richiamate: l'articolo 62 del decreto liberalizzazioni stabilisce termini di pagamento di 30 giorni (per i prodotti freschi) e di 60 (per le altre derrate), la decorrenza immediata ed automatica degli interessi di mora a tasso maggiorato, la possibilità di irrogare addirittura sanzioni, impedendo al contempo qualsivoglia autonomia alle parti.
La situazione è ancora più preoccupante ove la si applichi ai servizi prestati in favore della Pubblica Amministrazione, a causa dei notori ritardi che contraddistinguono i pagamenti nel settore pubblico e che raggiungono in Italia tempi allarmanti anche di dieci volte superiori rispetto a quelli imposti dalla normativa nazionale ed europea, contro i quali le imprese sono del tutto inermi: le imprese che erogano servizi di ristorazione, infatti, si troveranno comunque costrette ad eseguire il servizio, pena gravi conseguenze, in alcuni casi anche di natura penale, ma, al contempo, non disporranno dei capitali necessari per corrispondere quanto dovuto ai propri fornitori di prodotti agroalimentari nei tempi imposti – e si rammenta non derogabili – dalla norma in commento".