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Il vescovo: "La violenza è rifiuto del nome di Dio"

«Oggi il Santo Padre e i vescovi della Conferenza episcopale italiana ci invitano ad innalzare la nostra preghiera al Signore per ottenere il dono della pace nel mondo e per la cessazione di ogni persecuzione, specie a motivo religioso».

Lo ha ricordato il vescovo Luigi Ernesto Palletti dedicando a questo tema una parte importante dell'omelia tenuta venerdì a Soviore, in occasione della festa del santuario dove si venera Maria, patrona della diocesi. Il vescovo, in modo opportuno, aveva già accennato a questo tema martedì scorso, alla Messa celebrata a Lavaggiorosso di Levanto per i settant'anni dalla barbara uccisione dell'incolpevole parroco don Emanuele Toso, fucilato da soldati repubblichini. «Non vi è nessuna ragione – ha detto Palletti a Soviore – che giustifichi la violenza in nome di Dio, da chiunque essa provenga, ed essendo l'adesione di fede un atto libero della persona non può essere imposta con nessuna coercizione o forzatura. Purtroppo però tutto questo viene ancora fatto, e su persone inermi. In particolare, come non ricordare tante donne e bambini e bambine che vedono non solo violata la loro libertà ma soprattutto umiliata e profanata la sacralità della loro persona e della loro intimità ... Anche se ciò a cui stiamo assistendo supera certamente le nostre piccole forze e interpella in modo particolare gli ordinamenti nazionali e sovranazionali affinché sia posto fine a questa strage, come credenti non possiamo non sentirci personalmente solidali con i nostri fratelli chiamati a dare la loro testimonianza con molteplici sofferenze e umiliazioni, ed anche con la propria vita». Il vescovo ha così proseguito: «Sin dal suo nascere la comunità cristiana si è raccolta in preghiera per sostenere le sofferenze dei martiri, e dobbiamo continuare a farlo anche noi, con perseveranza. Se infatti in questo momento noi qui presenti non stiamo subendo direttamente una persecuzione cruenta, tutto ciò non è per uno speciale privilegio privato ma ci viene donato perché, nella libertà di poter professare liberamente la fede, possiamo elevare con maggiore intensità e disponibilità di tempo, preghiere e invocazioni a Dio per questi nostri fratelli». E' seguito un importante passaggio conclusivo: «Il nostro grido non deve in alcun modo diventare un grido di vendetta. La vera vittoria si realizza nel perdono e nella preghiera anche per i persecutori, anch'essi vere vittime del fanatismo religioso che li porta ad essere tali... Sia per noi "icona significativa" l'uccisione di santo Stefano che, sull'esempio di Cristo, morendo perdonò i suoi uccisori: "Signore, non imputare loro questo" (Atti 7,60). Così facendo, ottenne la grande conversione di colui che in quel momento era testimone della sua morte, ma in seguito sarebbe divenuto l'apostolo dei pagani: san Paolo».

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