Le procedure di licenziamento collettivo avviate dalla società Grancasa in tutta Italia sono due: una per 22 lavoratori di amministrazione e logistica, l’altra per 135 lavoratori occupati nelle filiali del gruppo GranCasa e, se non accadranno fatti nuovi, tra qualche giorno potranno essere recapitate le lettere di licenziamento a questi 158 dipendenti sparsi sul territorio nazionale. Sono infatti scaduti, senza alcun esito positivo, i 45 giorni relativi alla fase sindacale e concessi per cercare un accordo dopo l’annuncio degli esuberi ai sindacati mentre il 7 Giugno, data in cui è stato fissato un ulteriore incontro al Ministero, scadranno gli ulteriori 30 giorni riguardanti la fase ministeriale. Dopo quella data, in caso di mancato accordo, questi provvedimenti diventeranno effettivi.
La maggioranza dei dipendenti si è astenuta dal lavoro domenica e lunedì, quando, in contemporanea all’incontro al Ministero dello sviluppo economico, sono stati organizzati presidi davanti alla sede nazionale e alle sedi territoriali compresa quella sarzanese dove la procedura riguarderebbe 12 lavoratori, circa un quarto di quelli impiegati nella sede locale.
Purtroppo la trattativa si è conclusa con un nulla di fatto nonostante le direttive del Ministero che, oltre alle proposte dei lavoratori su riduzione oraria ed incentivi all'esodo, ha messo sul tavolo la possibilità di verifica su ammortizzatori sociali in deroga.
A fronte di un decreto legge emanato nel dicembre 2018 ci sarebbe, infatti, la possibilità, con una deroga del Ministero, di proseguire per almeno altri 8 mesi, come già fatto in passato, con un contratto di solidarietà e con riduzione dell’orario di lavoro, salvaguadando redditi e livelli occupazionali. L’azienda però, ferma sulle sue posizioni, si rifiuta, intenzionata a proseguire verso i licenziamenti con mancato accordo sostenendo che la strada per rilanciare la società è quella del taglio del personale.
E' evidente che queste annunciate riduzioni di personale non sono mirate solamente ad un contenimento dei costi del lavoro ma sono legate ad una strategia finalizzata a ridurre le dimensioni dell’azienda per renderla più appettibile per un’eventuale vendita.
Un'azienda non la si rilancia certo diminuendo il personale ma, anzi, valorizzando lo stesso puntando su strategie e politiche occupazionali e commerciali finalizzate alla fidelizzazione della clientela.
Gravi errori della proprietà, avvenuti anche nel nostro territorio con strampalati affari legati all'acquisto di capannoni pressochè inutili che hanno inevitabilmente pesato sulle casse dell'azienda, non possono affliggere i dipendenti.
Nella peggiore ipotesi una riduzione del numero degli occupati si potrebbe ottenere attraverso degli incentivi all’esodo, accompagnando con un contributo economico degno quelle persone prossime al pensionamento. Un'altra strada che però l’azienda non ha, al momento, nessuna intenzione di percorrere.
Auspichiamo emerga la giusta sensibilità nei confronti di una vicenda che, come altre in passato, potrebbe avere ripercussioni terribili per numerose famiglie del nostro territorio; in tal senso è fondamentale intraprendere una lotta condivisa a tutti i livelli politici ed istituzionali per salvare il futuro dei lavoratori e delle loro famiglie.
Il PCI sarà al loro fianco sostenendo la loro lotta ed ogni eventuale prossima mobilitazione.
Matteo Bellegoni
PARTITO COMUNISTA ITALIANO
Segretario regionale Liguria