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Riduzione gas serra, Spezia deve fare la sua parte In evidenza

di Giorgio Pagano, presidente dell'associazione Mediterraneo - Ce la possiamo fare, ma abbiamo poco tempo per agire. Meno di 17 anni. Poi tutto diventerà impossibile. E saremo destinati a vivere in un pianeta con un clima mai sperimentato dall'uomo: scioglimento dei ghiacciai, innalzamento dei livelli marini, cibo insufficiente per l'umanità.

E' questo, in sintesi, lo scenario prospettato dal rapporto redatto da 600 scienziati per conto dell'Onu. Con il ritmo attuale di emissioni di gas serra, da qui al 2100 la temperatura media del pianeta aumenterà di una quantità compresa tra 3,7 e 4,8 gradi rispetto all'epoca preindustriale. Possiamo contenere l'aumento entro i 2 gradi -la soglia tollerabile- se utilizzeremo gli anni da qui al 2030 per realizzare un drastico cambiamento nella produzione e nell'uso di energia. L'energia elettrica è responsabile del 25% delle emissioni di gas serra: il 78% della sua produzione è oggi affidata ai combustibili fossili. Occorre abbassare questa quota a non più del 20% entro il 2050 e a zero entro il 2100. Lo si può fare già con le tecnologie attuali: le fonti rinnovabili e, come passaggio intermedio, il metano al posto del carbone. Il momento decisivo per le scelte sarà tra un anno e mezzo al vertice Onu di Parigi: è lì che l'umanità deciderà se contrastare o meno i cambiamenti del clima. La Commissione europea sta cercando di fare la sua parte: ha dato per il 2030 l'obbiettivo nazionale del taglio del 40% delle emissioni, e di almeno il 27% di energie rinnovabili. Spezia deve fare la sua parte. Il sindaco, nei giorni scorsi, ha detto parole nuove: "Vogliamo la dismissione della centrale oppure una radicale riconversione secondo le linee dettate dall'Europa contro il carbone". Parole ispirate, credo, dalla preoccupazione per il fatto che la centrale funzionerà per altri 8 anni utilizzando il carbone. Ora servono i fatti: atti chiari e coerenti da parte di Comune e Regione nei confronti del Governo. A Spezia come a Vado Ligure. Alle spalle abbiamo, in entrambi i casi, sia pure a livelli diversi, due grandi errori: il Ministero dell'Ambiente, d'intesa con Comuni e Regione, ha concesso in modo assai discutibile autorizzazioni ambientali che avrebbero potuto essere ben più vincolanti. A Vado ci ha pensato la magistratura, chiudendo i gruppi a carbone: un'impasse da cui si può uscire solo con la riconversione a metano. La classe dirigente deve svoltare, e capire che un modello di sviluppo non regge più. Va lanciato non solo il messaggio di allarme sul clima ma anche il messaggio positivo sull'energia pulita che fa bene all'economia: la green economy già oggi conta il 22% delle imprese italiane e impiega 3 milioni di lavoratori. Spezia, Vado e la Liguria devono coinvolgere il Governo e impegnarsi per una nuova politica energetica: elaborare cioè in tempi brevi una politica industriale per promuovere la produzione delle rinnovabili, con l'obbiettivo di sostenere lo sviluppo di una filiera che vada dalla ricerca all'industria; e mettere contemporaneamente a punto un piano di dismissione o di riconversione a metano delle vecchie centrali a carbone e di ricollocazione dell'occupazione in altri settori. O si capisce il cambiamento necessario e lo si governa o andremo a sbattere, sia dal punto di vista dell'ambiente che da quello dell'occupazione.

 

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