Dopo un terribile caso di shaming che li ha quasi distrutti, Misha, Nicola e Ali tornano dietro la macchina da presa per raccontare il mondo in cui sopravvivono. Sono reporter, ma soprattutto sono ragazzi. Nell'Italia del futuro, fare documentari è un lavoro socialmente utile, l'ultimo stadio di un'umanità che ha scelto il tracollo come aspirazione esistenziale. L'unica via di fuga è la Val Trebbia, culla di nuove comunità autarchiche. Seguendo il fiume come una linea d'ombra, i protagonisti incontreranno madri che venerano il dolore, uomini convinti che la donna sia un virus invincibile, hipster eremiti che ripudiano la tecnologia, famiglie integraliste che credono in un'Apocalisse ormai passata dia moda, un misterioso guaritore, "il Padre", capace di sanare ogni malattia, a un prezzo. Usando i colori più vividi del genere, Violetta Bellocchio sfiora i temi brucianti del presente illuminando la narrazione con una scrittura espressiva, caustica, mai arresa. Un racconto tragicomico che non ha paura di colpire dove fa più male, mostrando il lato nascosto della violenza, quello che quando le luci rosse delle telecamere si spengono non fa più notizia, la vera festa nera.
Violetta Bellocchio è nata a Milano il 4 settembre 1977. Ha scritto alcuni libri, quello che l’ha resa famosa è il memoriale “Il corpo non dimentica” (Mondadori 2014). È stata una firma storica di “Rolling Stone Italia” e “Rivista Studio”. Oggi collabora a “Link”, “Vanity Fair”, “il Tascabile” e “Not”. Ha fondato e curato per due anni la rivista online “Abbiamo le prove”, la prima in Italia dedicata alla sola nonfiction femminile, ed è stata editor dell’antologia “Quello che hai amato” (Utet 2015). I suoi racconti sono apparsi in numerose riviste e antologie, tra cui “L’età della febbre” (minimum fax 2015).