Il libro di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello “Sebben che siamo donne. Resistenza al femminile in IV Zona Operativa, tra La Spezia e Lunigiana” (edizioni Cinque Terre) è stato presentato anche a Luni.
All’iniziativa, organizzata dal Comune di Luni, dal Consiglio Federativo della Resistenza, dall’Associazione Amici di Luni e dall’Associazione Culturale Mediterraneo, hanno partecipato studenti e insegnanti della Scuola Media e molti cittadini. Sono intervenuti Maya Manuguerra, assessore alla Memoria del Comune di Luni, Luciano Danieli, Presidente della Sezione Anpi di Luni e Alessio Giannanti di Archivi della Resistenza.
Danieli, partigiano combattente nella zona, ha parlato della gioia procuratagli dal libro, “capace di far rivivere il passato con parole emozionanti”. Giannanti ha affrontato il tema della memoria della Resistenza: “i ragazzi devono diventare cacciatori e custodi di storie”, ha detto. L’originalità di “Sebben che siamo donne”, ha aggiunto, è “la capacità di raccontare al storia e dentro di essa le vite delle persone, e la loro scelta morale che ha portato molte donne a combattere per la libertà e per la vita degli altri”.
Giorgio Pagano ha citato le pagine del libro che testimoniano quanto abbiano sofferto le donne ortonovesi: dal racconto dell’eccidio di Castelpoggio, nel quale furono uccise sei donne e una bambina, a quello della vita di Irlanda Poletti di Isola: le Brigate Nere uccisero suo marito, suo fratello e suo padre. Irlanda era incinta: morì per lo spavento e per il dolore. “Le ragazze -ha detto Pagano- avrebbero potuto starsene tranquillamente a casa, ma in molte scelsero di schierarsi con il silenzio, la protezione e la cura, o l'impegno diretto per i partigiani, come staffette ma anche arrivando a imbracciare le armi, come Tonina Cervia “Anita” di Isola”.
Maria Cristina Mirabello si è rivolta al pubblico parlando innanzitutto agli alunni di Terza Media presenti per ricordare loro come molti aderenti alla Resistenza fossero giovanissimi. Fra le donne riconosciute ufficialmente nelle SAP (Squadre Azione Patriottica) ad esempio c'è una ragazza nata nel 1930, il che significa come nel 1945, al termine della guerra, avesse solo un anno più di loro e, nonostante l'età, si fosse però assunta responsabilità e doveri assai pesanti. “La Resistenza -ha aggiunto- fu un ampio fenomeno di disubbidienza in positivo, che denotò maturazione personale e politica, da parte di generazioni che la scuola fascista aveva educato invece all'ubbidienza”. Le cifre delle donne riconosciute ufficialmente come partigiane e patriote e che possediamo avrebbero potuto essere molto più alte se tutte le interessate avessero presentato domanda di riconoscimento dopo la Liberazione. “Molte -ha concluso Mirabello- anche per la mentalità dell'epoca rifluirono nel privato. Senza il loro impegno non ci sarebbe stata però la Costituzione e l'articolo 3 di essa e probabilmente senza le loro scelte non ci sarebbero state le lotte successive per l'emancipazione e per la liberazione di genere”.
(Foto: Enrico Amici)