Oggi sempre più alieni sono tra noi. E non si tratta dei tradizionali omini verdi provenienti da chissà quale pianeta. Per i biologi si tratta di quelle specie introdotte in un altro habitat, diverso da quello di origine. Quando la diffusione di questa nuova specie produce impatti negativi sul nuovo habitat questa diventa invasiva. Un’ invasione, tra le più potenti, poiché altera silenziosamente gli ecosistemi e minaccia la biodiversità.
Molte specie aliene colonizzano i detriti di plastici che oramai rappresentano tra il 60 e l’80 % dei rifiuti marini, raggiungendo mete dall’altra parte del globo. A preoccupare i ricercatori CNR è soprattutto il Mediterraneo, che con l’apertura del canale di Suez, poi complice il riscaldamento globale, va popolandosi di forme di vita marine mai viste prima, specie del Mar Rosso.
Ma quali affetti possono avere micro e macroplastiche sull’ecosistema marino?
“Si tratta di un problema di grande portata, - ha spiegato Marco Faimali, Responsabile Istituto di Scienze Marine ISMAR (CNR- Genova) - le cui conseguenze non sono state ancora comprese fino in fondo e su cui è necessaria maggiore consapevolezza. Quando pensiamo al mare ci vengono in mente grandi pesci o mammiferi, spesso sottovalutando il ruolo dei microrganismi che, in realtà, rappresentano tutto il motore dell’ecosistema marino e non solo. Sono proprio loro i più esposti agli effetti derivanti dai detriti della plastica e con conseguenze a catena per tutta la biodiversità marina. I frammenti più piccoli sono ingeriti dagli organismi marini, quelli più grandi sono un grave pericolo per specie come gli uccelli marini e le tartarughe”.
Il problema spesso non è la plastica ma l’uso che ne facciamo. La plastica diventa una pericolosa “specie aliena artificiale” con un carattere altamente invasivo solo quando viene abbandonato nell’ambiente anziché smaltito correttamente. E’ per questo che la Comunità Europea sta investendo in diverse tecnologie e finanziando diversi studi per aumentare la consapevolezza sugli effetti della Marine Litter “spazzatura marina”. In questo percorso diventa quindi fondamentale il lavoro di organizzazioni come SeaShepherd o Associazione per il Mare, che ogni giorno con progetti e azioni di prevenzione e sensibilizzazione ricordano a tutti quanto i piccoli gesti possano far la differenza e quanti cambiamenti siano possibili tutti insieme. Pulizie fondali, eventi di sensibilizzazione nelle scuole, raccolta fondi sono solo alcune delle iniziative portate avanti in questi anni.
“Con il progetto SeaCleaner – ha detto Silvia Merlino fisica ricercatrice ISMAR CNR Lerici Santa Teresa – abbiamo cercato di coniugare insieme scuola e ricerca coinvolgendo alcuni studenti nell’attività di progettazione ed utilizzo di un protocollo di monitoraggio costiero dei rifiuti antropogenici, in una particolare macro area all'interno del Santuario dei Cetacei. Tale progetto è stato divulgato grazie al documentario "MARINE RUBBISH”. SEACleaner ha reso possibile la raccolta di numerosi dati scientifici e, allo stesso tempo, di avvicinare ed interessare numerosi studenti alle tematiche proposte, rendendoli più partecipi di cosa voglia dire fare ricerca e, soprattutto, sensibilizzandoli verso problemi ambientali che oggigiorno non possiamo più far finta di non vedere, e che proprio le nuove generazioni saranno chiamate, in un vicino futuro, a cercare di risolvere”.
“Gli oggetti in plastica impiegano oltre mille anni per degradarsi e rappresentano un serio problema per gli organismi marini – ha affermato Luigi Martinucci di Associazione per il Mare. Da quando siamo nati la nostra associazione è sempre stata accanto a SeaShepherd per iniziative di sensibilizzazione e pulizia fondali. Per noi è fondamentale trasmettere valori ambientali a tutti coloro che partecipano alle attività a bordo di MobyDick e che ci aiutano a realizzare la nostra mission sociale”.
Un mare in pericolo quindi, con più plastica e meno pesce? Certo tutto dipenderà da noi attraverso scelte e comportamenti quotidiani maggiormente consapevoli e sostenibili.