Si intitola Il Silenzio dei colpevoli. Libia: 228 giorni nella mani dei rapitori (Mursia) il libro memoriale di Gino Pollicardo, il tecnico italiano rapito il 19 luglio 2015 insieme a tre colleghi durante il trasferimento per raggiungere il posto di lavoro in Libia. La presentazione si terrà il 24 novembre, alla Spezia, alla Libreria Ricci ( via Chiodo) alle ore 18.
Il rapimento di Pollicardo e di altri tre suoi colleghi per mano di militanti tunisini dell’Isis, è durato 228 giorni, ed è finito tragicamente per Salvatore Failla e Fausto Piano, uccisi in circostanze mai del tutto chiarite.
Nel libro Pollicardo, con il tono mite e pacato che lo contraddistingue, ripercorre quei sette mesi di disperazione e tormento, le violenze fisiche e psicologiche dei carcerieri, l’angoscia di non sapere chi e come stava trattando la loro liberazione, la preoccupazione per le famiglie, la fede come unico sostegno.
Una prigionia che non è finita con la liberazione e il rientro in Italia perché, come scrive Toni Capuozzo nella post fazione: «Certe prigionie non finiscono mai, se non c’è verità». E la verità su questa vicenda non è mai stata detta.
Molte le domande che fa Pollicardo: perché è stato cambiato all’ultimo momento l’itinerario di viaggio? Chi ha trattato per la loro liberazione? Perché l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, con la piena consapevolezza che quattro italiani erano tenuti prigionieri in quel luogo, ha acconsentito a un’azione militare americana che, di fatto, li condannava a morte? Perché le famiglie dei rapiti sono state lasciate sole? Perché i sopravvissuti hanno dovuto aspettare due giorni nel posto di Polizia di Mellitah prima che si facesse vivo qualcuno della Farnesina, ai cui vertici era allora Paolo Gentiloni? E ancora: perché non è stata data loro nessuna assistenza medica una volta arrivati in Italia? Perché nessuno li ha mai informati degli sviluppi dell’inchiesta giudiziaria?
«Su questa vicenda è sceso il silenzio. Il silenzio è dei colpevoli, di chi forse teme che la verità esca allo scoperto, di chi teme di ammettere che siamo stati vittime di terrorismo sebbene, col passare dei mesi, sia emerso che i delinquenti che ci hanno rovinato la vita per 228 giorni fossero parte di una colonna tunisina dello Stato Islamico. Il silenzio di chi teme che a noi, reduci da questa esperienza, sia concessa la possibilità di capire il perché.» scrive Pollicardo con la speranza che qualcuno dalle istituzioni finalmente gli risponda.