“Un romanzo, non un saggio, non un romanzo di fantascienza ma un romanzo del realismo, con una scrittura potente e di grande suggestione”: così Giorgio Pagano, Presidente dell’Associazione Culturale Mediterraneo, ha definito “Qualcosa, là fuori” di Bruno Arpaia, presentato al Castello San Giorgio nell’ambito di “Notti al castello 2017”. Il libro, il primo romanzo italiano sugli effetti del cambiamento climatico, è ambientato nell’ultimo quarto del XXI secolo e racconta il viaggio della speranza di un enorme convoglio di uomini, donne e bambini che, partiti da Napoli, cercano di trovare la salvezza migrando al nord, verso la Scandinavia, l’ultima zona rimasta abitabile dopo l’innalzamento delle temperature della Terra. Pagano ha letto i titoli in prima pagina di un quotidiano negli ultimi due giorni - “La Terra senza elefanti e leoni, sta arrivando la sesta estinzione” e “Allarme al Polo Sud, si stacca l’iceberg dei record, è grande come la Liguria”- per concludere: “Che altro dobbiamo aspettare per batterci per lasciare alle generazioni future un mondo dove possano vivere? E’ già tutto sotto i nostri occhi”. Pagano ha infine evidenziato che il libro di Arpaia suggerisce, senza dichiararlo, come le migrazioni da lui descritte somiglino alle attuali, se alle rive del Baltico si sostituiscono quelle del Mediterraneo: “L’autore sembra dirci che noi siamo loro e che loro sono noi. Noi come potremmo diventare. Mentre loro, gli africani del Sahel, sono già in fuga dal disastro”.
Arpaia ha concordato sul “realismo”: gli scenari del romanzo sono tutti tratti dai report scientifici, “i più attenti sono quelli dell’esercito americano, Trump non può non sapere che cosa ci aspetta”. L’esercito studia il clima perché “il riscaldamento globale provoca anche violenze e conflitti”, come il dramma siriano originato anche dalla siccità, e le migrazioni: “oggi ci sono 65,5 milioni di profughi climatici, nel 2100 saranno 2 miliardi”. Non bisogna smettere di sperare e di lottare, nonostante la mediocrità delle classi dirigenti, hanno concluso Arpaia e Pagano: “Il rischio della catastrofe atomica è stato nel Novecento realmente sfiorato ma, per ora, evitato grazie alle innumerevoli voci che si sono levate dalla società: dobbiamo fare per il clima la stessa battaglia che facemmo per la pace, come ci esorta a fare Papa Francesco. Il futuro dipende dalle nostre scelte”.