Per Rizzerio il libro di Pagano è “il racconto di un Paese bellissimo e poverissimo”, ma anche “una riflessione sulla cooperazione internazionale, che deve essere inclusiva e coinvolgere gli africani come protagonisti”, nonché dar vita a un “partenariato tra Europa e Africa, con un ruolo anche per le nostre imprese”. In questo modo la cooperazione diventa sempre più “motore di sviluppo per i nostri territori”.
Per don Farinella “l’’Africa è la chiave di salvezza dell’occidente, se abbiamo abbastanza intelligenza da leggere ciò che sta accadendo in un contesto ampio, storico, economico e antropologico: nulla nella storia è separato, ma tutto si tiene insieme per causalità e per conseguenze”. Dopo lo schiavismo e il saccheggio delle materie prime a opera del colonialismo, “oggi l’Africa presenta il conto, con gli immigrati presenta un conticino per solo antipasto perché il conto finale deve ancora arrivare”. “Vi sembrerà strano - ha proseguito il parroco di San Torpete - ma il futuro dell’Europa è l’Africa: oggi noi europei dobbiamo uscire dai nostri confini e possiamo - dobbiamo - ritornare in Africa, perché per uscire dalla crisi bisogna uscire, non per invadere o imporre, ma per incontrarsi e condurre insieme progetti di sviluppo sostenibile per gli uni e gli altri”. “Leggendo il libro e guardando le foto, che sono parte integrante della cooperazione e della storia progettuale che Giorgio Pagano vuole comunicare - ha concluso Farinella - mi veniva spesso in mente Giorgio La Pira che, da sindaco - anche lui - di Firenze negli anni ’50 del secolo scorso aveva dato vita ai ‘Colloqui del Mediterraneo’ e nel 1958 riuniva tutti i sindaci del Mediterraneo europeo, africano e asiatico per impostare un progetto paritario finalizzato alla pace, allo sviluppo e ai diritti dei singoli e dei popoli”.
Infine l’autore, secondo cui l’Africa è sempre più “nostra”. Le migrazioni, la globalizzazione e la crisi economica, il terrorismo jihadista: tutto spinge -ha detto Pagano- a superare i confini, a rendere permeabili le frontiere, a unire Europa e Africa”. Queste le sue parole: “L’Europa non può più essere altra rispetto all’Africa, e viceversa: i destini sono interconnessi, il rapporto è e sarà sempre più stretto, tra grandi difficoltà e altrettanto grandi opportunità. Troppe sono le cause comuni che ci interpellano. L’Africa è il nostro grande Sud, l’Europa è il grande Nord dell’Africa. L’Africa non è un groviglio di problemi da cui stare lontani, è una grande occasione. E’ una terra giovane, con un’età media di vent’anni, ed è un grande laboratorio di idee. Quando partecipavo alle assemblee e ai ‘tavoli’ di discussione a Lembà, mi domandavo: ma non c’è più entusiasmo, più dinamismo, più creatività qui, in questa terra così misera, che non nelle assemblee della ‘vecchia’ Italia e della ‘vecchia’ Europa? La verità è che l’Africa è un continente con risorse umane di cui abbiamo bisogno. Così come loro hanno bisogno di noi. Le migrazioni saranno sempre più ‘circolari’: loro continueranno a venire da noi, ma vorranno anche tornare nei loro Paesi; e noi andremo sempre più da loro, perché l’Africa è un continente bellissimo e ricco di cultura, perché è l’unico che ha terre agricole da coltivare (non da accaparrare con il “land grabbing”), perché ha bisogno della nostra intrapresa, nel campo delle energie rinnovabili come in quello delle infrastrutture”.