Settant'anni fa, il 12 agosto 1944, a Lavaggiorosso, frazione collinare di Levanto, il parroco don Emanuele Toso, di cinquantaquattro anni, veniva fucilato davanti alla sua chiesa dagli alpini della divisione "Monterosa", inquadrati nella Repubblica sociale italiana. Quell'evento, che sarà ricordato martedì, rappresenta a suo modo una svolta nelle vicende drammatiche degli ultimi anni di guerra e dell'occupazione nazista dell'Italia settentrionale.
Fu infatti soprattutto a partire dall'estate 1944, e sino agli ultimi giorni prima della liberazione, nell'aprile 1945, che le azioni dei repubblichini mussoliniani, lungi dal limitarsi a combattere una guerra di fatto ormai perduta (Roma era già stata liberata e gli alleati erano sempre più vicini), conobbero un progressivo imbarbarimento nei confronti della popolazione civile, imbarbarimento del quale i sacerdoti cattolici furono tra le vittime più "esemplari". Nella sola provincia spezzina, come ricordano le "Memorie" del vescovo Giuseppe Stella, nel giro di pochi mesi furono ben oltre una trentina i sacerdoti e parroci arrestati o deportati. Altri poterono salvarsi solo rendendosi irreperibili. Ma nessuno, sino a quel 12 agosto, era stato ancora passato per le armi. Dopo don Toso, alla fine dell'anno venne poi fucilato a Chiavari il parroco di Valletti don Giovanni Bobbio, ma molti altri furono tenuti a lungo in carcere e spesso gravemente torturati. Don Toso fu fucilato senza alcun processo, con la risibile accusa di essersi intrattenuto a parlare con alcuni alpini, chiedendo informazioni "proibite". Altri sostengono si fosse rifiutato di fare i nomi di parrocchiani sospettati di essere dei ribelli. Resta il fatto che non aveva, né poteva avere, alcuna diretta o indiretta responsabilità in atti di sabotaggio, e questo era molto chiaro a tutta la popolazione. Per questo la sua fucilazione, quand'anche avesse voluto rappresentare un "esempio", ottenne di certo l'effetto contrario, mettendo a nudo una volta per tutte la rabbia disperata di chi ormai non poteva far altro che attendere l'inevitabile sconfitta. E' forse paradossale, ma spesso gli stessi ufficiali tedeschi criticarono l'accanimento dei repubblichini verso i sacerdoti cattolici. Forse, come scriveva testualmente don Dino Ricchetti, in un rapporto consegnato di persona al sostituto della segreteria di stato monsignor Montini (il futuro Paolo VI) nel marzo 1945, si voleva "far credere ai tedeschi e la fedeltà e la abilità dei neofascisti. E quel che accresce l'orrore è il fatto che degli italiani abbiano voluto 'far carriera' calpestando il sangue dei propri fratelli". Il martirio di don Toso e la persecuzione di altri sacerdoti spezzini furono il frutto, purtroppo, di eventi di tal fatta, i quali, a parte ogni discussione sul cosiddetto "revisionismo" storico, aiutano per lo meno a comprendere molte reazioni di segno contrario avvenute poi a cavallo della Liberazione. Don Emanuele Toso, medaglia d'oro al merito civile, sarà ricordato martedì, nel settantesimo della sua uccisione. Alle 9.30 il vescovo Luigi Ernesto Palletti celebrerà la Messa nella chiesa di Lavaggiorosso. A seguire, alle 10 (ora approssimativa dell'esecuzione), sarà deposta una corona di alloro nel piazzale della chiesa, e quindi, nel piccolo cimitero, verrà reso omaggio alla tomba del sacerdote. Tutti sono invitati.