Protagonisti dell'incontro al Museo Lia son state soprattutto le persone non italiane residenti alla Spezia, che hanno portato le proprie testimonianze su un aspetto della vita, a volte e a torto, relegato in second'ordine rispetto a problemi ed a necessità ritenuti più impellenti nella vita di chi, per vari motivi, è costretto a lasciare il proprio paese di origine: ossia il modo di vivere la fede, così diverso da quello italiano, anche se la fede, a volte, è la stessa. Testimonianze dall'Albania, dalla Romania, dall'Ecuador, da Santo Domingo e persino dal Giappone: il variegato mondo dell'immigrazione era davvero ben rappresentato in una serata multiculturale che ha visto protagoniste quasi esclusivamente le donne, più propense, a quanto pare, a raccontare i propri percorsi spirituali. Da queste voci e da queste esperienze, molto diverse tra loro, è emerso, però, un aspetto comune: quello che noi italiani diamo per scontato, ossia la libertà e la facilità di professare la fede, in altri Paesi non facili né scontate. Molto significativa, a questo proposito, è stata ad esempio la testimonianza di Miki, giapponese, convertita al cattolicesimo nel suo paese di origine, a Tokio, dove ha ricevuto il battesimo già adulta. In Giappone, ha raccontato la giovane donna, che vive a Spezia con il marito, è vietato nelle scuole l'insegnamento di qualsiasi religione e le chiese cattoliche sono veramente poche. Così, per essere cattolici, occorre contribuire alla vita della comunità anche con rette mensili e molti battezzati, per questo motivo, nascondono la loro religione. Nei paesi del Sud America, invece, dove il cattolicesimo è predominante, essere cattolici è spesso diverso, almeno sul piano esteriore, che in Italia: il Battesimo e la Cresima, ha raccontato Maria, ecuadoregna, sono riti che necessitano di una lunga preparazione, che impegna padrini e madrine molto tempo prima e, in seguito (non a torto), per tutta la vita, quasi come dei genitori alternativi. Molto praticanti sono anche nella Repubblica Domenicana, che conta il novanta per cento di cattolici, come ha spiegato Maria Peralta, presidente del Comitato solidarietà immigrati e rappresentante della comunità più numerosa in provincia. Voci dolorose, invece, quelle provenienti dall'Est europeo, soprattutto dall'Albania: Fiorella ed Elvira hanno raccontato la loro esperienza "dalla negazione alla libertà ", ovvero il passaggio da un regime che vietava qualsiasi forma di credo religioso, soprattutto quello cattolico, e dove il culto musulmano, per ragioni storico – politiche, è sempre stata la religione dominante, ad un paese come l'Italia, dove l'incontro col Dio cristiano è stato agevolato e spiritualmente proficuo. Il Comitato solidarietà immigrati è attivo alla Spezia da più di vent'anni e riunisce, come una consulta, circa dodici associazioni, presenti sul territorio provinciale, che ne condividano lo scopo precipuo: quello di di favorire una maturazione culturale dei cittadini nei confronti dell' immigrato e, di conseguenza, una maggiore integrazione dei non italiani nel contesto socio – culturale locale. Il Comitato, nei suoi uffici di via Paleocapa 16, svolge anche funzioni di consulenza per gli immigrati che si trovano sul territorio, aiutandoli nell'espletamento di pratiche burocratiche e amministrative spesso molto complesse, specie per chi non parla l'italiano. Uno degli obiettivi perseguiti dal Comitato è anche quello di promuovere una revisione della legislazione relativa all'acquisto della cittadinanza, con un criterio più vicino al cosiddetto "ius soli" (diritto di cittadinanza per nascita). Il Comitato, alla Spezia – ha spiegato il vice presidente Paolo Borrini –, mantiene rapporti con tutte le comunità non italiane, ed in particolare con quelle domenicana, ecuadoregna, albanese e rumena, che sono numericamente più rappresentate.