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Lo spezzino Roberto Besana curatore di una mostra fotografica itinerante dedicata alla tempesta Vaia In evidenza

Vaia, una tempesta che nel 2018 in pochi minuti sradicò oltre 30milioni di alberi nelle foreste in provincia di Trento e Bolzano.

Molti ricordano o hanno ricordato che il 9 ottobre del 1963 dalle pendici del monte Toc si staccarono 270 milioni di metri cubi di pietre, terra e detriti che finirono nella diga che chiudeva il torrente Vajont, tra il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia. Sessanta milioni di metri cubi di acqua travolsero Longarone e altri comuni provocando la morte di 1.918 persone.

Ottobre. È un mese tremendo ottobre. Un mese che viene ricordato per le belle ottobrate, ma i più attenti e sensibili ne ricordano anche alcuni tragici eventi. Nell’ottobre appena finito  dall’Emilia-Romagna a Valencia ve ne sono stati fenomeni che hanno riportato alla mente quelle tragedie. 

Due in particolare: il Vajont che ho appena ricordato e Vaia. Ma mentre se dico Vajont tutti ricordano a che cosa è associato questo nome; viceversa se dico Vaia desto stupore. Eppure sono passati solo sei anni dal 29 ottobre del 2018 quando una tempesta, in pochi minuti, rase al suolo oltre 38mila ettari di foresta e sradicò oltre 30milioni di alberi – in gran parte abete rosso- per un totale di oltre 16milioni di metri cubi di legname. Danni tremendi nelle Province di Trento e Bolzano, in Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Lombardia. Pochi lo ricordano e soprattutto concentrati in Veneto e Trentino perché è qui che la pioggia riversò sino a 870 millimetri di acqua coinvolgendo comuni del Veneto, del Friuli, del Trentino provocando, tra l’altro, lo straripamento del Piave e del Brenta.

Ma è soprattutto qui che, tra mattino e pomeriggio del 29 ottobre il vento soffiando con raffiche sino a 200 chilometri all’ora ha generato “Vaia”.

Qualcuno lo ricorda? Mi chiedevo. Pochi, dicevo. Ma se per molti se ne era persa la memoria, da un po’ le cose sono cambiate per merito di un gruppo di persone cui la memoria non ha fatto difetto che se ne è ricordato e ha deciso di renderne partecipi quante più persone possibile. 

L’idea è stata di  Claudio Lucchin l’architetto e del Presidente del Museo Etnografico Trentino di San Michele all’Adige  (MET) Ezio Amistadi che ne hanno parlato con Roberto Besana, fotografo di fama,  ricevendo subito il necessario consenso per costruire il ricordo di quel disastro mettendo insieme suono e immagini di quell’evento.

Ne è nata una mostra itinerante: “Suoni e Segni di Vaia. La tempesta raccontata dai suoni, video e fotografie”. Che nel proporre il ricordo ha un obiettivo importante: La cura dell’ambiente per abitare il mondo.

Suoni, video, fotografie sono i tre momenti nei quali si sviluppa l’itinerario proposto. Le splendide foto di Besana parlano. E dicono che cosa è successo in quel tragico 29 ottobre: come era prima della tempesta “l’intrinseca bellezza”; che cosa è successo in quattordici drammatici minuti trasformando la foresta in un cimitero di alberi; l’oggi come “segno, memoria e rinascita”.

Niente più e meglio delle immagini può spiegare che cosa riescono a fare pioggia e vento e perché per abitare il mondo è necessario “curare” l’ambiente. Tanto più, poi, quando alle immagini parlanti di Roberto Besana si associa l’esperienza sensoriale di chi ha vissuto quella tragedia ascoltando il vento che soffia a 200 chilometri l’ora. È quanto accade quando in questa fase della mostra si è invitati in una camera oscura in cui si vive l’emozionante soffiare del vento. Sono i “Suoni di Vaia”, l’installazione sonora di Elisa Pisetta e Cristian Postal.

Infine il soggetto parlante è la “lettera” che natura la ci ha spedito  utilizzando il nostro linguaggio. Natura il cui “indicibile linguaggio”, ideato e realizzato da Roberto Besana e Davide Grecchi si esprime nel testo di Mimmo Sorrentino. E parla la natura con la voce di Alessandra Felletti mentre i pixel della fotografia si accavallano sino a costruire l’intero paesaggio dell’area delle Dolomiti Unesco.

Parla e si presenta la natura. Ci dice chi è: “La mia lingua viene prima degli uomini e continua dopo di loro. Ma parla anche tra quel prima e quel dopo. Ed è in questo spazio tempo in evoluzione continua che convivo con gli uomini”. Ma l’umanità non ha saputo approfittare del bene di questa convivenza; ha smarrito la linea retta. Tanto da correre il rischio di estinguersi. Per questo rischio la natura soffre e ci dice: “il dolore mi fa urlare provocando tempeste e siccità. Il mio urlo avvelena l’aria. Infuoca la terra. Prosciuga il mare.” La natura ne ha vissute di estinzioni (ben cinque prima di quella ipotetica sesta che coinvolgerebbe il genere umano) dopo ciascuna delle quali si è ripresa. Allora chiude con un senso di speranza questo suo breve parlare: “io vengo a parlarvi con questo scritto che è un invito e una speranza: che alla fine del viaggio che avete fatto in questa mostra di terra e acqua, quando uscirete, canterete per me una canzone, declamerete una poesia, mi ritroviate nel guardare la luna che accompagna da sempre il vostro cammino nella notte”. 

Questa speranza ha accompagnato i visitatori di questa mostra itinerante: a Roma, a Forlì, a Ischia. Ora a Rimini e dovunque si potrà allestire: soprattutto per parlare ai giovani dell’importanza della “cura dell’ambiente per abitare il mondo”.

Testo di Ugo Leone

"La mostra si sta tenendo in luoghi in cui sono avvenuti eventi meteorologici estremi - sottolinea uno dei curatori della mostra Roberto Besana - per ricordare come il nostro rapporto con l'ambiente in cui viviamo è estremamente delicato e necessita di una grande attenzione della comunità. Visto il grande successo che sta riscuotendo, mi piacerebbe proporla anche alla Spezia".

La "cura" dell' ambiente per abitare il mondo

Pietro Greco, purtroppo scomparso prematuramente nel 2020, è stato chimico, giornalista scientifico e scrittore.

Questo progetto è nato grazie all'incontro tra persone che hanno fatto parte della sua rete di relazioni ed è a lui dedicato. La mostra è un approfondimento sensoriale e visivo della Tempesta Vaia che a fine ottobre 2018 ha coinvolto una vasta area alpina in Italia, Svizzera, Austria e Slovenia. In Italia è stata colpita particolarmente l'area delle Dolomiti UNESCO: raffiche di vento dai 100 ai 200 km orari e forti piogge hanno provocato la caduta di milioni di alberi devastando decine di migliaia di ettari di foreste alpine di conifere.

Un disastro naturale che ha reso evidente, ancora una volta nel nostro Paese l'impatto del cambiamenti climatici. Suoni e Segni di Vaia, si sviluppa in tre momenti: un'esperienza sensoriale sonora, che pone la persona a confronto con questa natura madre e matrigna, diventando per ciascuno un forte elemento di consapevolezza; le fotografie, che contribuiscono ad illustrare tre momenti prima della tempesta, i danni e l'oggi dopo la Tempesta Vaia; un video, che ci invita a riflettere sul rapporto Uomo/Natura.

La mostra "Suoni e segni di Vaia" vive di una apparente asetticità, mostrando in maniera neutra un "prima" e un "dopo". Le considerazioni stanno li in mezzo e vengono lasciate maieuticamente a chi guarda. Forse non c'è modo migliore di prevenire che avere esatta conoscenza degli effetti. Perché quello che appare lontano anni luce, in realtà è figlio e frutto di quello che anche noi facciamo nella nostra quotidianità. Un "effetto farfalla" che dobbiamo cominciare, prima di ogni cosa, a conoscere e riconoscere.

"Suoni e segni di Vaia" è questo, solo questo e allo stesso tempo molto altro.

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