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I reperti di Fezzano erano già noti nel ‘700 e a Ubaldo Mazzini (foto) In evidenza

di Anna Mori – Aperto ai cittadini il cantiere archeologico alla presenza della Sovrintendenza e degli archeologi che si stanno occupando degli scavi, tante le informazioni raccolte.

Questa mattina, in occasione delle Giornate Europee dell’Archeologia, è stato organizzato un “open day” al cantiere archeologico attivo presso il campo sportivo di Fezzano. Erano presenti il Funzionario Archeologo della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Genova e la provincia della Spezia Dott. Luigi Gambaro e gli archeologi di Tesi Archeologia. L’evento è stata l’occasione per approfondire molte informazioni sul ritrovamento dei resti romani nel cantiere.

Nel testo “Una relazione del 1799 su Fezzano” del Prof. Paolo Emilio Faggioni, leggiamo che si avevano notizie di questi reperti già nel 1799. Nel suo pezzo Faggioni riporta infatti la relazione che fece il Parroco del paese di Fezzano don Nicola Merani in risposta al questionario promosso dall’Instituto Nazionale della Repubblica Ligure per fotografare la situazione economico-agricola della regione.

Faggioni riporta fedelmente alcune risposte di don Merani che in merito ai reperti romani scrive: “Dentro la Vila chiamata del Fezzano…vi si scorge dagli avanzi una Grota di figura quadrata …Di questa Grota artificiale, che da quanto al presente si puol vedere ne formava 3… chiuse al termine della loro linea retta, sempre nei loro angoli unite; non scorgendosi dalla parte verso la tramontana vestigie alcune di Grota, ma bensì da quanto si è arguito dalle diverse cose che vi sonsi trovate…, segni che ne indicavano l’ingresso con dei bellissimi lastricati di pezzetti di marmi di colori diversi e rari, e di mattoni a guisa di boli di cioccolata….Esse sono buone mura e non son dirocate che per movimento delle fondamenta per cagion forse del Canale che bagna la parte esterna orientale. Al di fuori son di figura anch’esse quadrate, al di dentro poi fatte a volto, detto a mezza botte”.

Faggioni spiega che le “grote” di cui parla il Parroco sono gli ambienti diroccati di una costruzione romana che, all’epoca, erano ancora coperti da volte. I “bellissimi lastricati di pezzetti di marmi di colori diversi e rari”, ovvero pavimenti a mosaico, dimostrerebbero che si trattava di una villa signorile e non di magazzini annonari come aveva supposto Ubaldo Mazzini, quando nel 1920 esaminò i resti di quei muri, quando– dice ancora Faggioni – furono barbaramente spazzati via a seguito dei lavori di sterro che la Società Orlando fece eseguire nella piana del Fezzano dell’Artiglié per costruire il cantiere navale che poi venne eretto al Muggiano. Ulteriori porzioni di muro vennero abbattute per la costruzione del campo da calcio. Faggioni conclude dicendo che è probabile che, parte di quei mosaici che Mazzini non vide altrimenti lo avrebbero orientato diversamente nelle sue ipotesi, si trovino ancora sotto al campo.

Nelle sue “Notizie sugli scavi” (1922), Ubaldo Mazzini scrive: “Ho visitato il giorno 19 maggio 1920 nel piano chiamato Artiglié sopra alla spiaggia del Fezzano, i lavori di sterro per abbassare il livello del piano di campagna, che fa eseguire la società Ansaldo per la costruzione di un cantiere. Tali scavamenti hanno messo in luce avanzi di un edificio, e forse una serie di edifici, di costruzione evidentemente romana, di cui qualche rudere affiorava già alla superficie prima dell’inizio del lavori. Durante lo sterro vennero distrutti tutti i muri incontrati”. Più avanti Ubaldo Mazzini prosegue: “due spessi muri costruiti parallelamente alla spiaggia del mare….coperti da una spessa volta a botte per tutta la loro lunghezza, distanti l’uno dall’altro circa due metri, e sostenuti ambedue da una serie di speroni esterni a guisa di barbacani….La muratura onde risultavano tali muri…è nelle due facce di opus incertum e ad emplecton, cioè riempita nell’interno come i massi brecciosi di frombole dimostrano; il che rivela la romanità dell’opera, anche a prescindere da ogni altra prova”.

Mazzini aggiunge: “Essendomi stato assicurato che nessuna suppellettile era stata rinvenuta durante lo scavo in prossimità dei muri scoperti….ho voluto fare subito qualche assaggio in alcuni punti che ritenevo dovessero meglio rispondere alle mie inchieste. Ed infatti potei rinvenire diversi frammenti di cotto, come anse e cocci di amphorae e cadi vinarii, di grandi tegulae e di dolium che a giudicare dalle dimensioni colossali dovette appartenere a un borreum sotterraneum. Ciò conferma che l’opera è sicuramente romana…Non avendo assistito allo scavo, né alla demolizione dei muri, non posso con sicurezza determinare la destinazione dell’edificio…non andrò molto lungi dal vero supponendole magazzini annonari navali costruiti dai Romani presso la spiaggia del piccolo seno di Fezzano (Fundus Alfidianus), per il rifornimento delle flotte militari, che avevano nel Portus Lunae la loro base”.

Abbiamo ascoltato alcuni cittadini. Fabio Carassale, ex Consigliere Comunale, e Roberta Faggioni, ex Assessore alla Cultura e ai Beni Archeologici del Comune di Portovenere, ci hanno spiegato che in una fotografia storica del 1943 si vedono ancora bene muri esterni romani, colonne, un pozzo o cisterna. “A nostro avviso sarebbe importante trasformare quello che viene chiamato ‘rischio archeologico’ in un’opportunità, e non andare verso la tombatura di questi reperti, ma piuttosto uno scavo più organizzato, ampio, completo, in modo da essere certi di non avere qui sotto un patrimonio, che non avrebbe senso lasciare sotto il campo sportivo”.

Su questo punto il Sovrintendente Luigi Gambaro: “E’ possibile lasciare un reperto fuori terra, ma non basta scavarlo, bisogna anche restaurarlo e coprirlo, è necessaria una manutenzione ordinaria per tenerlo pulito dalle erbe e accessibile con gradini e ballatoi. Per Luni e Varignano sono stati spesi milioni di euro in tutti questi anni per riuscire ad assicurare la valorizzazione e la tenuta fuori terra, i costi sono molto elevati, un impegno economico importante. Quindi, non sempre tutto quello che viene portato alla luce può restare fuori terra. Innanzitutto è necessario tutelare il bene affinché non vada distrutto, quindi valutare costi e benefici: se molti beni restano sotto terra, assicuriamo la conoscenza con pannelli, QR codes e la musealizzazione con un plastico. Sui reperti di Fezzano è ancora troppo presto per fare ipotesi”.

L’architetto Gianfranco Berghic ha studiato attentamente la zona dell’area dell’Artiglié. “I locali scoperti lungo la linea della vecchia costa dovrebbero essere locali adibiti a magazzini, la villa era più spostata verso l’interno. Durante scavi fatti tra la fine ’800 e inizio ‘900 è stato portato via parecchio materiale. Poi durante i lavori per il campo sportivo negli anni ’50-’60 l’area è stata livellata ulteriormente: ci sono foto degli anni ’50 che documentano la presenza di un pozzo romano, vicino alla via Artiglié, demolito in quel periodo per costruire il campo da calcio”.

L’archeologo di Tesi Archeologia ha poi descritto gli scavi: “Nel cantiere si possono vedere stratificazioni: il campo da calcio precedente, sotto all’attuale, che era stato costruito su un’area agricola, lo abbiamo capito perché abbiamo trovato un buco per piantumare. Da immagini fotografiche degli anni ’20 vediamo infatti un’area adibita ad orto, area che era disabitata fino ai primi del ‘900. Probabilmente in quel periodo sono stati trovati reperti romani che sono stati però rasati per rendere il campo coltivabile e lo possiamo vedere da resti in strati superiori rimescolati durante l’aratura dei campi. Dal terreno è riemerso un lungo muro che corre parallelo alla recinzione moderna del campo da pallone, che sembra essere il perimetro verso la marina di un complesso che probabilmente si estende verso monte. Il mare arrivava infatti in corrispondenza della recinzione del campo. Sono venuti alla luce tre ambienti, con due muri perimetrali e muri di spina che dividono le diverse stanze collegate da ingressi in successione. Non sappiamo se si siano conservati pavimenti. La mancanza di materiali ceramici, porta a pensare che i locali fossero adibiti a magazzino, ipotesi attestata anche dal ritrovamento di una porzione di un il dolium, grande contenitore utilizzato per lo stoccaggio di liquidi. Abbiamo recuperato alcuni materiali nel sedimento che erano rimescolati agli strati superiori. Non abbiamo ancora contezza di quello che potrebbe esserci ancora”.

Il nostro lavoro è quello di seguire in assistenza il cantiere – ha concluso il Dott. Luigi Gambaro - abbiamo fatto alcuni saggi preventivi in altre zone, ma per ora non è emerso altro. Ora dobbiamo iniziare il restauro, stiamo facendo approfondimenti a livello di scavo, non abbiamo piante di riferimento per cui non è facile”.

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