In questo periodo, durante le nostre passeggiate, notiamo che prati e boschi sono punteggiati da primule e viole.
La primula appartiene alla famiglia delle “Primulacee” che comprende circa 500 specie differenti, alte da pochi centimetri fino a mezzo metro, di colore vario e corolle singole o raccolte in grappoli o in agglomerati. In Italia la più comune è la “Primula Vulgaris”, conosciuta anche come “Primaverina” o “Occhio di Civetta”. Il suo nome deriva dal latino “Primus” che indica che la pianta ha una fioritura precoce, all’arrivo della prima erba nei prati dopo la scomparsa della neve.
La leggenda narra che la prima Primula fu mandata da Apollo, figlio di Zeus, per sconfiggere il gelo e proteggere la Terra. Infatti il sole inviò una primula magica per domare il freddo dell’inverno che teneva prigioniera in una grotta di ghiaccio la primavera. Così facendo l’inverno governava sul resto delle stagioni. Furono gli animali del bosco a chiedere aiuto ad Apollo, per cui, secondo la leggenda, non a caso la primula cresce spontanea nei boschi e nei prati in zone a mezz’ombra.
Quindi, il gelo invernale dovette rispettare il ciclo delle stagioni, ritirandosi all’arrivo delle primule che, grazie a questa leggenda, sono diventate il fiore simbolo della primavera, portatrici di sole e abbondanza. Anche nel linguaggio dei fiori rappresentano la primavera della vita, la giovinezza, un fiore che annuncia la rinascita della natura, il nuovo anno naturale, la vittoria del bene sul male, una nuova prosperità, un’amicizia nascente.
Una seconda leggenda invece narra che un giorno San Pietro fece cadere sulla terra le chiavi del Paradiso e, nel punto in cui toccarono il suolo, nacquero alcune piante di primula. Proprio per questa leggenda in Inghilterra le primule sono conosciute anche con il nome di “bunch of keys” o “pile of keys”, ovvero “mazzo di chiavi”.
Legata alla primula esiste anche un racconto popolare secondo il quale le primule sarebbero la chiave per entrare nel mondo delle fate, me le istruzioni giunte fino a noi non sono per niente precise. Si dice innanzitutto che è necessario trovare la roccia delle fate, ovvero la porta per il loro regno, ma non vengono specificate né le caratteristiche della pietra, né la sua posizione. Successivamente bisogna comporre un mazzolino con il numero corretto di fiori, ma neanche questo è specificato, e strofinarlo contro il sasso. Ipotizzando di trovare la roccia giusta, ma non il numero corretto di primule, il malcapitato che tenta l’impresa viene colto da sventura, quindi meglio non tentare.
Miti e leggende sono legate anche alle violette. La violetta appartiene alla famiglia delle “Violaceae” che comprende anch’essa più di 500 specie. Nel linguaggio dei fiori indica timidezza, pudore e profondità di sentimenti, per cui regalare violette significa dichiarare apertamente i propri sentimenti: nell’Ottocento gli uomini che portavano una violetta all’occhiello della giacca volevano lanciare il messaggio che erano ancora in cerca di moglie. Con il passare del tempo la violetta ha assunto un altro significato, ovvero l’invito a pensare alla persona da cui si è ricevuto in dono un mazzo di viole.
In alcuni miti, però, la violetta è legata anche alla morte prematura, come nell’Amleto di Shakespeare dove Ofelia, dopo aver donato viole al fratello, muore in modo tragico. Anche Greci e Romani associavano la violetta alla morte, cospargendo di questo fiore le tombe dei bambini per simboleggiarne innocenza e purezza d’animo.
Un mito greco racconta che Zeus, innamorato della Ninfa Io, per proteggerla dall’ira della moglie Era, la trasformò in una giovenca bianca. La Ninfa pianse per la sua sorte e Zeus trasformò in violette le sue lacrime cadute sull’erba permettendo solo a lei di poterle assaggiare.
Per i Cristiani le violette simboleggiavano l’umiltà della Madonna, si racconta infatti che nacquero delle violette nel momento dell’Annunciazione. Oltre al viola e al blu, in alcune viole si trovano anche sfumature di bianco: per questo nel Medioevo i monaci chiamavano il fiore “Viola Tricolor”, vedendo in essa il simbolo della Trinità.
La violetta è legata anche alla figura di Napoleone, chiamato “Caporal Violet” e grande amante di questi fiori, che li scelse come simbolo dei giacobini in contrapposizione al giglio borbonico: sembra che i suoi sostenitori, per riconoscersi, si sussurrassero la frase: “Aimez-vous la violette ?”.
La violetta, inoltre, è stata anche una sorta di “fil rouge” che ha legato le due mogli di Napoleone. Giuseppina Beauharnais amava molto questo fiore tanto da coltivarne in grande quantità. In occasione del suo matrimonio con Napoleone, fece ricamare violette sul suo vestito da sposa e chiese alle damigelle di gettarne mazzolini al passaggio degli sposi. Dopo la morte della moglie, Napoleone volle che venissero piantate viole sulla sua tomba e, si racconta, che prima di partire per Sant’Elena in esilio, abbia raccolto alcuni fiori riponendoli in un medaglione che avrebbe tenuto con sé fino alla morte.
Fu Maria Luisa d’Austria, seconda moglie di Napoleone, a sancire la fortuna di questo fiore che amava moltissimo. Sembra che Maria Luigia arrivò a Parma all’inizio della primavera, il periodo in cui sbocciano le viole: la duchessa si innamorò così tanto del loro profumo che chiese ai frati del Convento dell’Annunziata di riprodurlo in un’essenza. Nacque così la “Violetta di Parma” che inizialmente era prodotta solo per uso personale della duchessa. La formula segreta venne custodita dai frati fino al 1870, quando Ludovico Borsari riuscì ad ottenerla iniziando la produzione per il pubblico.
La duchessa in questo modo tolse al fiore ogni significato politico, scegliendolo come simbolo di purezza e umiltà. Tanta la sua passione per la violetta che la utilizzò per decorare il palazzo, come fragranza e in alcune sue lettere sostituiva la firma con una violetta dipinta. Inoltre, non solo fece vestire la servitù e i cortigiani di viola, ma la violetta era ricamata sui suoi vestiti e riprodotta su oggetti di uso quotidiano.