Il libro di Giorgio Pagano e di Maria Cristina Mirabello “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” ha suscitato partecipazione e confronto anche a Montaretto di Bonassola, nella Casa del popolo. Il luogo, sede storica del PCI, non poteva non suscitare un dibattito sul rapporto tra il Sessantotto e il più grande partito della sinistra di allora.
“Il Sessantotto colse il PCI alla sprovvista”, ha sostenuto Pagano. E tuttavia la posizione espressa dall’allora segretario Luigi Longo era una novità importante “perché riconosceva l’emergere di nuovi soggetti nella lotta democratica per il socialismo -gli studenti- e cercava di stabilire con essi un rapporto dialettico e critico”.
Il PCI era allora certamente “un organismo ‘vitale’ -ha proseguito l’autore- come dimostra anche l’esame degli atti del IX Congresso provinciale spezzino, tenutosi nel gennaio 1969”. Il tentativo di convogliare il potenziale innovativo del Sessantotto in una proposta di trasformazione del Paese “fu un processo contraddittorio: nonostante le grandi difficoltà iniziali il PCI in qualche modo recuperò”. Ma, nonostante segnali ricchi di potenzialità, “al fondo la sua cultura politica non seppe incontrarsi con la spinta del Sessantotto: alla fine prevalse la diffidenza per i tratti ‘piccolo-borghesi’ del movimento”. Le tematiche sollevate dalle forme autonome e inedite di politicizzazione emerse nel Sessantotto “non furono mai centrali nel PCI: erano domande di nuove finalità della politica: domande di libertà e di liberazione, di rinnovamento del sapere, della cultura, del costume, delle forme di vita, dei rapporti tra le persone e tra i cittadini e lo Stato”. Il PCI, ha sostenuto Pagano, “aveva un pensiero troppo poco gramsciano per mettere al centro la ‘riforma intellettuale e morale’”.
Questa la conclusione: “Dopo il Sessantotto, il 1976 fu il momento in cui il PCI raggiunse il massimo della forza e al tempo stesso rivelò i suoi limiti, di linea politica e di bagaglio culturale. Alla fine degli anni Settanta fu chiaro che la strategia dell’eurocomunismo e del compromesso storico, preparata da Enrico Berlinguer fin dal 1969, era fallita. Per il mancato distacco dall’URSS, ma non solo per questo. Mancò quella ridefinizione dei contenuti del ‘socialismo di sinistra’ o ‘nuovo socialismo europeo’ che introiettasse nel corpo teorico del partito la cultura emersa nel Sessantotto. A ciò si aggiunse la resistenza all’avanzata del PCI da parte delle forze dominanti: la risposta reazionaria, spesso ‘sommersa’, utilizzò prima lo stragismo nero, poi il terrorismo rosso”.