All’Università di York, nel Regno Unito, è stata discussa di recente una tesi dottorale avente al suo centro il dialetto spezzino. E la sua autrice, Francesca Brown, non ha mancato, a fronte di un ampio spettro di ricerche di carattere linguistico, di citare persino una trasmissione andata in onda sulla televisione diocesana Tele Liguria Sud, “La n’è mai tropo tardio pe n’paae o spezin” (“Non è mai troppo tardi per parlare lo spezzino”), curata e condotta a lungo da Pier Giorgio Cavallini.
Del resto, se è pur vero che Francesca Brown ha origini “sprugoline”, essendo spezzini sua madre Cristiana Bernardi e suo nonno Francesco Bernardi, illustre medico ed esponente dell’associazione dei partigiani cristiani, scomparso alcuni anni fa, l’ampia bibliografia del suo lavoro indica come anche Edoardo Cavirani, studioso spezzino laureatosi a Pisa, avesse condotto negli anni scorsi ricerche linguistiche sui dialetti lunigianesi in un’altra università britannica, quella di Leiden.
A sua volta, la tesi di Francesca Brown (il nome inglese è però MA Dissertation, ovvero “dissertazione magistrale”) apre la strada a ulteriori ricerche, non solo linguistiche e fonetiche, ma anche di carattere storico e antropologico. Il titolo indica, anzitutto, un’analisi comparativa “di area”: “Dialetto spezzino: studio sociofonetico su convergenze e divergenze con i dialetti di Genova e di Carrara”. E’ noto come, spesso, l’area della Lunigiana rivendichi, anche culturalmente, una propria autonomia rispetto a quella Liguria alla quale tutta la provincia spezzina appartiene da secoli.
La nostra studiosa ha ora condotto un attento confronto tra l’audio di persone in grado di parlare i dialetti indicati, e la conclusione non lascia adito ad equivoci: lo spezzino, pur differenziandosi per vari aspetti dal genovese, è però certamente molto più legato al ceppo dei dialetti liguri che non al carrarese, a sua volta appartenente piuttosto, con numerosi altri lunigianesi, al versante dei dialetti emiliani. Il tema dei confini (“boundaries”) è però un tema reale, e Brown lo affronta con riferimenti anche geografici, come quello al monte Gottero e all’area di Sesta Godano (“Foce dei tre confini”).
La conclusione è quella di continuare a studiare, nella consapevolezza che la storia, troppo spesso, divide. Saperlo, e conoscerla, può aiutare ad unire.
(Testo: Egidio Banti)