Le limitazioni alla socialità imposte dalla pandemia non hanno impedito, lo scorso 17 settembre, una massiccia partecipazione alla presentazione del libro Mio babbo partigiano – patriota senza nazione di Andrea Ranieri, alla Sala della Repubblica di Sarzana. Per molte persone un modo per sentir parlare di Paolino dalle labbra del figlio Andrea, magari con qualche risvolto inedito.
La presentazione è stata anche un’occasione per ricordare la figura del sindaco partigiano sotto diversi punti di vista. Denise Murgia (Anpi Sarzana) riprende dal libro una considerazione del tesoriere dell’Anpi, Libero Neri Magron, sul finire degli anni ‘70: “un'associazione le cui spese principali, ogni anno, sono quelle per i manifesti funebri e le corone da morto, non può avere un grande futuro”. “Forse per questa constatazione”, ragiona Denise, “Paolino capì, tra i primi della sua generazione, che l’antifascismo poteva e doveva rigenerarsi sulle gambe di chi il fascismo non l’aveva conosciuto di persona, altrimenti sarebbe scomparso con i partigiani”.
E ciò sarebbe stato possibile solo aprendo le porte dell’Anpi ai giovani antifascisti che non avevano partecipato alla Lotta di Liberazione, cosa che Paolino a Sarzana fece, anticipando la decisione del Congresso Nazionale Anpi del 2006. Questo incontro tra generazioni si basava sul rispetto dovuto ai partigiani che non impediva ai giovani di esprimere la loro voglia di azione.
Ancora Denise Murgia rammenta “confronti accesi e appassionati durante i quali gli chiedevamo di essere al nostro fianco”, con Paolino che spesso chiedeva pazienza perché “i tempi non sono maturi; badate bene che non sono tante le sezioni, le associazioni che si incontrano tutte le settimane, come noi”. Infine ricorda la gioia dell’anziano partigiano e la sua gratitudine per aver reso possibili le Camminate sui Sentieri della Resistenza (“per ringraziare simbolicamente gli uomini e le donne che avevano reso possibile la loro lotta”), la sua capacità di ascolto e di adattamento all’interlocutore.
Qualità che richiama anche Alessio Giannanti (Archivi della Resistenza), cui aggiunge quella “ironia e gentilezza che faceva sì che fosse rispettato da tutti, anche dagli avversari politici, prete compreso”. Giannanti parla anche dell’impegno di Paolino per la realizzazione del Museo audiovisivo della Resistenza alle Prade di Fosdinovo, luogo della memoria nato dalla struttura pericolante di quella colonia che, molti decenni prima, il sindaco aveva voluto per dare un po’ di svago ai bambini usciti dalla guerra, figli di fascisti inclusi.
Maria Cristina Mirabello (Istituto Storico della Resistenza - La Spezia) analizza la narrazione del libro incentrata nel rapporto tra un figlio e il suo “babbo”, che vede come “patriota senza nazione”, e dal quale si differenzia, pur nel dialogo continuo, rispetto alle scelte politiche. Andrea, difatti, nel ‘68 esce dal Pci, mentre in età più matura aderisce al passaggio Pci/Pds, che Paolino critica da sinistra. La frase del libro detta da Andrea: “A mio padre non dispiacque che poco più che ventenne fossi uscito dal Partito comunista ed entrato in Lotta Continua”, fa pensare a un Paolino che considerasse giusto stimolare un Pci troppo orientato all’azione politica effettuale e distolto dalla meta rivoluzionaria, pur nella lealtà pubblica al partito cui ha sempre aderito, sebbene a suo modo. E quando affronta la figura di Dante Castellucci Facio, la cui vicenda evidenzia errori e limiti anche di chi fu dalla parte giusta, Mirabello riporta un monito diretto da Paolino a un esponente del Msi: “Tra noi c’è una differenza che conta. Se avessi vinto tu, non saremmo qui a parlare. Io sarei morto o in galera”.
Virginia Martini (Blanca Teatro) punta il suo intervento sulle scelte compiute in vari momenti da Paolino (aderire al Partito comunista clandestino, rifiutare la domanda di grazia dopo la condanna al carcere, continuare la lotta al fascismo dopo l’8 settembre), scelte scomode e improntate all’attivismo. Elementi che si ritrovano in Molte mattine mi son svegliato, lo spettacolo teatrale messo in scena in Cittadella da Blanca Teatro per il centenario del 21 Luglio 1921, attualmente in replica in altre città. Poi, riferendosi alla voglia di confrontarsi coi giovani, Virginia rievoca un incontro al liceo Parentucelli, dinanzi a 150 studenti: “Paolino si è tirato su le maniche e ha cominciato a rispondere, a spiegare, e a confrontarsi con dei ragazzini di 14 anni”.
La presentazione è arricchita dagli interventi musicali di Egildo Simeone e Livio Bernardini, apprezzati interpreti di Prendi il fucile e gettalo per terra, Addio Lugano bella e Fischia il vento, oltre che dalle letture di Fabrizia Giannini, tratte dal libro. Una di queste si riferisce alla parola “compagno”, da Andrea mai sentita pronunciare in italiano dal padre, bensì in sarzanese, nelle due allocuzioni di Paolino evocanti stima o sdegno: “i è n’cumpagnu” opposto a “cumpagni na sega”.
Giorgio Pagano, previsto tra i relatori ma costretto a casa da un’influenza, ha inviato un contributo scritto che ripercorre le tappe di Paolino nella lotta al fascismo, evidenziando l’importanza del suo ruolo di commissario politico, che sempre ricoprì durante la Resistenza: “era colui che doveva indicare ai giovani le ragioni della lotta”, oltreché “insegnare il rispetto per le popolazioni dei campi e dei monti in cui i partigiani avevano le proprie basi”. Ben tagliato per quel ruolo, Pagano scrive che “il comportamento di Paolino fu sempre all’insegna della dirittura morale e politica”.
Un’esperienza formativa fondamentale per l’approccio di servizio alla comunità che Paolino ha portato nelle istituzioni del dopoguerra. Un’attitudine che, secondo un Andrea Ranieri emozionato, manca molto ai nostri tempi, e andrebbe recuperata. Purtroppo, e questo conferma la lontananza della piccola politica dalle persone, su una settantina di presenti in sala, nessun personaggio attualmente protagonista della scena politica cittadina, di nessuna parte, ha scelto di venire. Ha mancato l’appuntamento con un pezzo della nostra storia, e con l’insegnamento che poteva trarne.