Il primo volume del libro di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” è stato presentato anche nella splendida cornice della piazza della Chiesa di Costa di Framura. L’iniziativa è stata organizzata dal Comune di Framura e dall’Associazione Culturale Mediterraneo.
Dopo il saluto del Sindaco Andrea Da Passano si è sviluppato il dialogo tra lo storico Giorgio Getto Viarengo e Giorgio Pagano, presente un folto pubblico.
E’ stata raccontata, tra l’altro, la storia di Bruno Grancelli, presente in piazza: nativo di Framura, fece l’operaio all’INMA, si diplomò alle scuole serali dell’Istituto Tecnico Industriale Capellini, per poi iscriversi nel 1965-1966 a Sociologia a Trento, dove partecipò alla “contestazione”. La testimonianza di Grancelli, ha detto Pagano, “spiega perché fu più fecondo il Sessantotto degli inizi, quello critico, morale e libertario, che non quello successivo, più dogmatico”. Grancelli ci spiega anche, ha continuato l’autore, che “nel primo Sessantotto c’erano spiragli di dialogo tra sinistra ‘nuova’ e sinistra ‘storica’, mentre poi prevalse la rottura”.
Viarengo ha invitato l’autore a riflettere sui valori dell’antifascismo, ieri e oggi. Ha detto Pagano:
“Il Sessantotto cominciò con i moti di Genova del giugno-luglio 1960 contro il Congresso del MSI, moti che coinvolsero molto anche Spezia. Nacque una generazione antifascista, che si impegnò negli anni Sessanta in tutte le forze politiche democratiche -PCI, PSI, DC ed altre minori- e le rinnovò dall’interno. Ma poi il fallimento del centrosinistra tra DC e PSI, e la mancanza di una politica alternativa da parte del PCI, furono una delle cause della rivolta dei giovani. Nel Sessantotto l’antifascismo fu molto forte. In Italia, del resto, era ben motivato. In nessun altro Paese il neofascismo era così attivo, la destra eversiva così votata a fare politica con le stragi, in un legame aggrovigliato con i servizi segreti deviati e con ambienti politici e militari. Ma il grave limite dell’’antifascismo militante’ dei movimenti di estrema sinistra fu la trasformazione del fascismo in un contenitore assai dilatabile dove far rientrare tutti coloro non erano di sinistra. In questo modo, tra l’altro, il fascismo perdeva la sua fisionomia specifica. E si sviliva la differenza fondamentale tra fascismo e democrazia. Ci fu, quindi, un altro impoverimento della carica libertaria: in questo caso di quella dell’antifascismo".
"Certo - ha proseguito Pagano - i giovani di allora reagivano giustamente alla retorica celebrativa di una Resistenza ‘imbalsamata’: ma con un’altra retorica, quella della Resistenza solo armata, solo di classe... Nelle retoriche speculari della ‘Resistenza rossa’ e della ‘Resistenza tricolore’ uscì stritolata la Resistenza popolare e civile, delle donne e degli uomini comuni, che avrebbe dovuto essere posta a fondamento del tentativo di formare le ‘virtù civiche’ degli italiani. Le stesse ‘virtù civiche’ di cui furono portatori le ragazze e i ragazzi del Sessantotto degli inizi. E’ a queste ‘virtù’ -morali, libertarie, umanistiche- che dobbiamo tornare se vogliamo che l’antifascismo torni ad essere il valore fondante della Repubblica. L’alternativa, devastante, è quella di una Repubblica senza valori”.